A inizio agosto sono andata a vedere due mostre i cui protagonisti erano Alberto Giacometti, Francis Bacon e Ferdinand Hodler; una presso la Fondation Beyeler di Basilea e l'altra presso il Kunstmuseum di Winterthur. In quei due giorni ho provato ad indossare le loro visioni e da lì raccontare il viaggio sui miei profili social. Ecco quanto pubblicato.
Riflessi di insiemi - Frammenti. Fotogrammi. Fermimmagine. Uno dopo l’altro. Immobili nell’istante, veloci nel sol fluire. E corrosi. Da un vuoto ora d’atmosfera ora d’anima. In attesa. Nella distanza.
In gabbie - La libertà raggiunta attraverso l’astrazione dallo spazio. Guardare all’uomo attraverso la sola verità realizzata dall’abisso, affinché si possa giungere all’intimo per ritrovarvi l’abisso stesso.
Interpreto le gabbie di Giacometti come groviglio di radici da cui l’io individuale può sviluppare la sua partecipazione al divenire universale; un attecchire per potersi elevare, un prendere il nutrimento dall'essenza per riconsegnarla al sottile.
Il passo di un profumo - La marcia di un uomo, il suo movimento, il suo camminare, come rappresentazione di un processo interiore. Quindi osservare non la direzione o la meta raggiunta ma la capacità di ogni singolo individuo di giungere alla sua totale manifestazione.
Dunque: tu quanti passi stai facendo? Io me lo sto domandando. Giacometti, nel suo uomo che cammina, credo sia “semplicemente” riuscito a cogliere il profumo della rosa.
Il sapere lo sguardo di Giacometti - Giacometti nelle sue sculture cercava di trasmettere un’idea di insieme dell’individuo, omettendo i dettagli ma inserendovi l’unicità; un po’ come accade quando si riconosce un familiare da lontano senza poterne cogliere i tratti specifici. È con questo pensiero che ieri mi sono posizionata al centro del Mittlere Brücke di Basilea, circondata da 120’000 persone (e io che pensavo di trovare una città deserta, visto il periodo festivo...).
Schiena diritta, mani lungo i fianchi, piedi uniti e sguardo lontano: come le sue sculture, le sue donne.
Il sole stava calando. L’aria benché calda dava sollievo. La gente rideva. Canti. Odori di cibo. Qualche scoppio. L’asfalto. E loro: la gente.
Volti informi, senza storia, senza identità. Un flusso. In quel momento credo di aver percepito l’essenza dell’umana libertà, quella dell’appartenenza a un unico genere che nulla esclude se non il tutto, affinché lo si possa definire, sentire, e inglobare: il tutto.
Poi l’ho visto. Era lo sguardo di un uomo posto sul fondo del ponte, di fronte a me. Schiena dritta, mani lungo i fianchi, piedi uniti. Ci siamo guardati e sorrisi, prima che la folla tornasse ad essere tale, assorbendoci.
L’unico dettaglio essenziale per Giacometti erano gli occhi, su cui si accaniva. Diceva che lui voleva “sapere lo sguardo”; ecco, grazie a quell’uomo ieri ho capito cosa intendeva davvero.
Di carne, sangue e ciò che si diffonde - Dai ritratti di Francis Bacon, malgrado distorsioni e deformazioni, scaturisce una finezza struggente paragonabile a un momento di intimità; riusciva a cogliere ciò che sorgeva dall’individuo oltre la forma con una delicatezza a tratti commovente.
Disse “chi posa per un autoritratto è composto da carne e sangue; che deve essere catturato è ciò che emana”.
Ora proverò a indossare la sua visione cogliendo ciò che fuoriesce dalle persone presenti in questo luogo pubblico, oltre l’aspetto.
Trovo indifferenza, imbarazzo, rabbia, tranquillità, disperazione, gioia, fastidio, curiosità, amore, senso del dovere, vergogna, divertimento, solitudine, fierezza, e molto altro.
Pochi secondi, è un esercizio, non occorre di più. Oltre la carne e il sangue si accede all'altrove presente, allo spazio reale. Paradossalmente è proprio considerando l’essere umano come un nulla informe che il suo tutto appare, definendolo.
E voi, cosa state cogliendo nel vostro attorno ma, soprattutto, cosa emanate? Io non so, forse ora gratitudine, ma non solo, anzi... sicuramente non solo... e molto di quell’anzi…
Di selfie e autoritratti - Giacometti e Hodler hanno dedicato la vita intera alla ricerca dell’identità umana, passando anche dalla contemplazione di se stessi. Il primo cercava il proprio io ritraendo i familiari, mentre il secondo ha eseguito più di 40 autoritratti, un fatto piuttosto insolito per un pittore di più di 150 anni fa.
Credo che l’autoritratto, per essere considerato tale, debba riflettere parte della propria esistenza; inevitabile pensare a quanto di tutto ciò sia oggi presente nella maggior parte dei selfie, compresi ovviamente i miei.
Hodler e quel suo svelare il luogo che accade - Nel ritrarre paesaggi Ferdinand Hodler cercava soprattutto di cogliere l’essenziale, quel qualche cosa capace di accomunare ogni essere vivente e non; la conferma dell’esistenza di un principio universale.
Nel suo lavoro montagne, fiumi, laghi e rocce son divenute forme viepiù rarefatte, arrivando a tramutare la realtà in luoghi sospesi nel tempo e nello spazio, nutriti e sostenuti da colori più simili a un canto che a un pigmento.
Abito in alta montagna, quindi sono praticamente immersa nel contesto da lui spesso dipinto; ciò che scaturisce dalle sue opere lo ritrovo però quando attraverso particolari stati d'animo capaci di orientare lo sguardo verso un'osservazione più assoluta, ovunque mi trovi, foss'anche in centro città.
In pratica suppongo Ferdinand Hodler quel principio universale sia davvero riuscito a scovarlo ma, soprattutto, a svelarcelo. Affinché questo potesse accadere ha prima però dovuto necessariamente rendersi presente LUI a quegli orizzonti, a quei luoghi dello spirito in cui è divenuto egli stesso l’interiorità del paesaggio da rappresentare, rappresentandosi.
Insomma: il mondo accade a chi lo coglie ma, per poterlo fare, occorre essere coscienti della propria presenza, esistenza, vita e individualità; solo diventando così, uniti l'uno all'altro, potremo quindi divenire l'orizzonte verso cui guardare, per guardarsi.
P.S.: nelle foto qui sopra trovate un dipinto di Hodler del 1915 in cui sono ritratte delle Alpi vallesane e un mio scatto fatto in dicembre in Engadina, a testimonianza che l'essenziale è ovunque, sempre ;-)