Disgelo, memorie profonde e istanti che affiorano

Di questa stagione, in alta montagna, amo enormemente l’estrema intensità. È come se fosse una forma del sentire ancestrale: è ogni inizio nella sua massima potenza. Ma non uno di quegli inizi che passa dallo ieri all’oggi, o da qualche mese fa ad ora. È piuttosto un da millenni addietro ad adesso, e da millenni fa sì ma che però già sapevano. In pratica è come se il tutto fosse già stato lì allora per iniziare proprio adesso. Occorreva solo metterci in mezzo quella quantità di tempo lì: ere intere fatte di vita e vite, fino alla nostra.

Lo vedo ad esempio nei laghi dell’Alta Engadina, che non si sciolgono ma riemergono. Non è l’acqua a tornare, ma piuttosto il ricordo del suo movimento, della sua profondità, dei suoi incredibili colori, del suo inconfondibile odore di vento liquido, dei suoi riflessi in grado di cambiare i volumi di montagne e cielo. È un lento ricomporsi di frammenti di memoria contenenti nel contempo il suggerimento di un possibile domani.

E intorno: una miriade di crocus. Davvero: ovunque! Appaiono nel mezzo di un paesaggio ancora intriso d’acqua, campi marroni, fango e chiazze di neve marcia. E la cosa incredibile è che sembrano voler restare ma senza alcuna pretesa. Se ne stanno solo lì, testimoni del momento “giusto per”, e basta.

È come essere circondati da una pioggia di istanti di estrema realtà. Quei momenti di cui parlo spesso che non richiedono intenzione ma che accadono comunque, proprio come accadono i laghi e i crocus di qui.

E che bello poter vivere un istante di disgelo. Assistere all’emersione di un passato lontano che vien su solo per offrire la sua memoria antica al presente in cui ci troviamo adesso. Non so, ma penso possa essere un augurio appropriato da abbinare alla simbologia della Pasqua che lascio lì così, qualora qualcuno lo volesse cogliere.

Lieti momenti
Giada