Il Flying Film Festival, per #faigirarelacultura

Ci sono film in grado di proiettarti altrove, in luoghi lontani, in storie vicine, attraverso viaggi temporali o modificando l’attorno. E se tutto questo avvenisse proprio mentre in un viaggio ci sei davvero, dove tutto sotto dite si modifica in ogni istante, e ciò che ti era vicino diventa improvvisamente lontano? Sarebbe l’apoteosi dell’evocazione cinematografica, la proiezione estrema elevata alla seconda, una risonanza di emozioni in grado di invadere il viaggiatore in una continua eco di storie e immagini raccontate.

Ebbene, tutto questo è divenuto realtà. Ci ha pensato l’Associazione culturale Le Système D, organizzando il primo festival di cortometraggi ad alta quota. Durante i mesi di marzo e aprile sarà infatti possibile partecipare al Flyinf Film Festival sui voli Swiss a lunga distanza (A330 e A340).

Anche per Francesca Scalisi, di Le Système D, l’attenzione dello spettatore cambia stando in cielo: «Personalmente volare in aereo mi ha sempre dato la sensazione di essere in una bolla fuori dal tempo e dallo spazio, nel ventre materno primordiale e accogliente, in una terra di mezzo tra il finito e l’infinito – ci ha confidato -. In questa particolare dimensione, chissà, forse le emozioni e le sensazioni che un film trasmette penetrano nell’animo senza più alcun filtro».

Nove cortometraggi che, passo dopo passo, avvicineranno i viaggiatori a destinazione; nove cortometraggi che sarà possibile votare sul sito flying-filmfestival.com, permettendo al più nominato di accaparrarsi il premio del pubblico.

Dunque cosa aspettate? Se volete vivere un concentrato di emozioni non vi resta che prenotare un volo Swiss, mettervi comodi e allacciare le cinture di sicurezza; lasciatevi poi trasportare verso i mondi lontani visibili sia dentro che fuori lo schermo, fino al raggiungimento di una nuova meta, dentro o fuori che sia.

Recensione pubblicata su Timmagazine.

Amplesso invernale tormentoso

Diciamolo: non è che si possa proprio definire tormenta, quella di oggi più che altro mi è sembrata… un amplesso! Ebbene sì, dite quello che volete ma non eravate presenti, al cui confronto youporn è sembrata una verginella. Cioè, questo è arrivato, l’ha coperta, l’ha sbattuta, l’ha fatta girare di qua e di là, l’ha spianata, l’ha strappata, l’ha schiacciata e l’ha messa sopra; tutte le candele in quel momento si sono spente, le persone presenti hanno chiuso gli occhi e i puritani si sono fatti il segno della croce.

E lei che ha fatto? Si è smollata, si è rilassata ma è rimasta presente, e per fortuna, altrimenti anche io sarei finita a gambe all’aria. Poi si è lamentata, o meglio ha gemuto, al che lui è tornato prepotente, l’ha scompigliata a dovere ancora una volta prima di avviarsi all’atto finale: un colpo di qua, un colpo di là, un altro che “caspita Artù viene qui che questo ci vuol spazzare via” (e a giusta ragione direi, spettatori di tanta passione probabilmente non ne volevano nemmeno loro...).

Allora ci siamo accucciati e abbiamo aspettato che tutto passasse, noi e tutti gli addetti ai lavori che in quel momento dovevano liberare il lago. Poi così, senza alcun preavviso, ecco un bel “paff” riecheggiare nella valle intera. Ma davvero, giuro, si è sentito! A quel punto lui si è alzato e se ne è andato, lasciando lei al suolo, attonita e imbiancata. Accade sempre così, ogni volta che il cielo si abbassa e raggiunge la terra è una tormenta infuocata, e sono sicura che se la neve non coprisse tutto quanto qualche succhiotto sul terreno apparirebbe qua e là.

Ormai l’avrete capito: anche stamani mi sono svegliata e fuori dalla finestra imperversava una tormenta di neve, solo che oggi, anziché “Oh cazzo”, ho pensato “va be’, beati loro”, e sono uscita.

Sempre caro mi fu, quell'ermo colle...

È accaduto così, senza preavviso o alcuna pianificazione, tipo quelle cose che accadono solo nei film, a volte. Ti svegli, guardi fuori dalla finestra e una bufera di neve ti saluta augurandoti buona domenica: “oh cazzo”, pensi, invece “in vacanza tutto è bello”, scrivi. E così indossi l’equipaggiamento da “una notte all’addiaccio non potrà uccidermi”, carichi la tasca di bocconcini per il cane (anche se per trattenerlo, con la selvaggina che brulica in questi boschi, dovrei piuttosto girare con un cinghiale allo spiedo sulla schiena), e via… qualche cosa accadrà. E accade, sempre. 


Incontri qualcuno: “Grüezi”, dici, chi era? Boh, non si vede da qui a lì, magari era l’omino che indica gli esercizi del percorso vita al punto 6, quello dei piegamenti. “Alègra”, ti risponde, dunque non era lui (probabilmente). E avanzi. “Artù”, urli… nulla… e già ti vedi chiamare i soccorsi, spiegargli che sì non dovevi liberarlo, ma come fai, dai… non c’era in giro nessuno, a parte un branco di camosci, il raduno delle lepri invernali e una reunion delle volpi bisbetiche. “Artù”, ancora nulla, finché qualche cosa dietro te attira l’attenzione, ed è lui, che nella neve fresca fatica, allora preferisce seguire i tuoi passi; proprio il giusto atteggiamento da seguire per accaparrarsi mezzo sacchetto di bocconcini: un po’ per la fiducia e un po’ perché non dovrai fare la figura della padrona isterica con i soccorritori.


E, in questa pace ritrovata, ti accorgi di essere arrivata in un punto che non riconosci. Sarà stata colpa della nebbia, della neve, del tempo o del destino, non so, ma in questo posto che poteva essere ovunque o in nessun luogo ho cominciato a recitarla: “Sempre caro mi fu quest’ermo colle, e questa siepe, che da tanta parte dell’ultimo orizzonte il guardo esclude”… e così via… nel silenzio, in compagnia dei miei passi, di un Artù stranamente accanto, e di quel nulla rassicurante che solo la montagna sa consegnarti “e il naufragar m’è dolce in questo mare”. Giusto, un nulla che può anche sapere di infinito e la montagna di mare ma in fondo, a ben pensarci, che differenza c’è?

La mia Verità su Daniele Finzi Pasca per #faigirarelacultura

Daniele Finzi Pasca è un grande chef! Lo dico da tempo: Daniele è un cuoco sopraffino, uno chef di prim’ordine, uno che con le stelle Michelin guadagnate avrebbe potuto decorare un abete grande come quelli che ci sono nelle piazze più famose, che al solo guardarli sorridi e sogni. Per i suoi spettacoli lui impasta immagini, aggiunge suoni speziati, amalgama storie come fossero burro fuso e inserisce qua e là qualche scaglia di realtà fondente… poi lascia riposare l’impasto in un luogo caldo, intimo, che si attesta solitamente attorno ai 37 gradi centigradi e, a lievitazione ultimata: “booooom”… ti scoppia dentro un pasticcino di ricordi che al confronto la madeleine proustina sembra un tic tac. Cioè, lui riesce con uno spettacolo a proiettarti in altri, nel passato, nei tuoi ricordi e persino in quelli del signore seduto di fronte a te, che se non sei un po’ forte di cuore rischi di rimanerci secco.

E così è accaduto anche durante lo spettacolo La Verità, in scena a Milano le scorse settimane: vedi un soffione gigante e ripensi a un vestito che se Ruggero ma anche quello della tua bisnonna, appare un cappello luccicante e ti ritrovi a giocare a pallone sotto un temporale ballando il charleston, entra la testa di un cavallo e senti il rumore della nave rompighiaccio solcare mari che profumano di pino cembro, senti una musica fatta di nebbia e scompari e riappari a ritmo stroboscopico, assisti alla danza di un acrobata in salita verso il cielo e sul pavimento appare l’ombra di Icaro, di un armadio e un tappeto ai cui angoli crescono le fragole… poi ci sono le ombre, gli angeli, i tamburi, i canti, i corpi, le composizioni, gli wow, i colori che nemmeno Marc Chagall, le orecchie che si moltiplicano e te le ritrovi anche sotto i piedi e la pelle che si ionizza e ti sembra di depurare persino l’ambiente… ma soprattutto loro, gli occhi, che vorresti grandi il doppio perché tutta quella roba lì in due cosini grandi come una noce non è possibile ci stia.

Eppure lui ce la fa, sempre, lui riesce sempre a farci stare tutto, anzi di più, perché ogni volta riesce persino a farci piovere dentro… poi lo so, resto imbambolata per giorni a domandarmi come diavolo faccia Daniele Finzi Pasca ad essere ogni volta così straordinariamente galattico, capace di creare continui fermoimmagine estetico-poetici che se non appartengono a un piano infinito quelli io non so. E il giorno dopo, per ritrovare un contatto con la realtà, sono uscita di casa, ho alzato gli occhi al cielo per controllare cosa fosse in arrivo e ho sbadigliato, ma alla fine non ce l’ho fatta… ho azzardato un passo di cancan, ho fatto un salto, urlato sottovoce e sputato dalla bocca un animale, che sapeva di menta, e di papà.

Recensione pubblicata su Timmagazine.