Disgelo, memorie profonde e istanti che affiorano

Di questa stagione, in alta montagna, amo enormemente l’estrema intensità. È come se fosse una forma del sentire ancestrale: è ogni inizio nella sua massima potenza. Ma non uno di quegli inizi che passa dallo ieri all’oggi, o da qualche mese fa ad ora. È piuttosto un da millenni addietro ad adesso, e da millenni fa sì ma che però già sapevano. In pratica è come se il tutto fosse già stato lì allora per iniziare proprio adesso. Occorreva solo metterci in mezzo quella quantità di tempo lì: ere intere fatte di vita e vite, fino alla nostra.

Lo vedo ad esempio nei laghi dell’Alta Engadina, che non si sciolgono ma riemergono. Non è l’acqua a tornare, ma piuttosto il ricordo del suo movimento, della sua profondità, dei suoi incredibili colori, del suo inconfondibile odore di vento liquido, dei suoi riflessi in grado di cambiare i volumi di montagne e cielo. È un lento ricomporsi di frammenti di memoria contenenti nel contempo il suggerimento di un possibile domani.

E intorno: una miriade di crocus. Davvero: ovunque! Appaiono nel mezzo di un paesaggio ancora intriso d’acqua, campi marroni, fango e chiazze di neve marcia. E la cosa incredibile è che sembrano voler restare ma senza alcuna pretesa. Se ne stanno solo lì, testimoni del momento “giusto per”, e basta.

È come essere circondati da una pioggia di istanti di estrema realtà. Quei momenti di cui parlo spesso che non richiedono intenzione ma che accadono comunque, proprio come accadono i laghi e i crocus di qui.

E che bello poter vivere un istante di disgelo. Assistere all’emersione di un passato lontano che vien su solo per offrire la sua memoria antica al presente in cui ci troviamo adesso. Non so, ma penso possa essere un augurio appropriato da abbinare alla simbologia della Pasqua che lascio lì così, qualora qualcuno lo volesse cogliere.

Lieti momenti
Giada

Cosa è emerso dagli istanti ricevuti a marzo

La realtà collettiva che si svela, un frammento alla volta

Nelle ultime settimane, molte persone hanno risposto all’invito di condividere un istante di estrema realtà. Un istante è ciò che accade quando l’ignoto si manifesta nel quotidiano. Non lo si può cercare, ma solo accogliere. E nel momento in cui viene colto e donato, non appartiene più solo a chi lo ha vissuto, ma partecipa alla creazione di una trama più ampia, condivisa.

Ecco cosa succede quando si mettono gli istanti uno accanto all’altro, che essi iniziano a parlarsi. Si rispondono. Si chiamano. E, così facendo, danno forma a una narrazione collettiva che non spiega nulla ma evoca il tutto. Ad unirci non è più il chi siamo o in cosa crediamo, ma ciò che abbiamo vissuto indipendentemente dal vissuto stesso.

Unire gli istanti, ci unisce

Tutto comincia con piccoli dettagli. Un aroma d’arrosto in pentola, un baccano di voci, le chicche lanciate, in un meriggio di marzo. Subito dopo, una betulla che dondola, un fringuello, il vento, un pomeriggio qualsiasi. Bastano pochi elementi per attivare la risonanza, a volte. Non serve molto. Serve solo esserci.

C’è chi, in un istante, si ritrova a desiderare l’inverno, mentre guarda perplesso le lucine di Natale ancora accese a primavera. E chi invece, al contrario, incontra la primavera su una panchina rivolta al mare, e smette – finalmente – di sentirsi sola.

Poi arrivano l’aria, la materia, la consapevolezza. Un acquazzone improvviso, senza giacca né ombrello. Le gocce grandi che rimbalzano sul naso, le bollicine nelle pozzanghere. Un’esperienza sensoriale piena, concreta, viva.

Oppure ritrovarsi sotto il massiccio del Gottardo, nella galleria buia, con la consapevolezza di essere dentro a milioni di anni di roccia. E in quel buio, l’incontro: tra la materia mineraria e l’ingegno dell’uomo. Un abbraccio tra tempi che non si possono immaginare.

C’è chi ritrova la propria verità in una casa di pietra e legno, leggendo nei muri la vita quotidiana di chi li ha abitati. E chi la trova in un bosco, dove ogni passo si fa ascolto e la fiducia nasce dal camminare accanto a ciò che cresce.

Poi ci sono le rivelazioni più sottili. Un albero – Egidio – che un giorno rivela il suo volto umano,
in una mattina di novembre avvolta nella nebbia. Un istante solitario, così reale da cambiare tutto.

O il sentire che si può influenzare un istante con la sola presenza, come stare accanto a una sorella che affronta la chemioterapia, scoprendo che anche nel dolore, la luce può essere di compagnia.

E ci sono le sorprese dell’anima: piangere a Venezia senza sapere perché, o perdere per pochi metri il marito tra la folla, scambiandolo per un altro, e accorgersi – grazie a quello sguardo diverso – di quanto sia preziosa la presenza abituale di chi si ama.

Ci sono poi gli istanti che ci costringono a sentire davvero. Chi scrive con lucidità che l’estrema realtà che coglie è la guerra, il conflitto, la violenza. E chi, nella stessa costellazione di voci, sente l’alba entrare in casa, accecare e scaldare, aprire la giornata con un senso profondo di pace e gratitudine.

C’è chi, ogni 8 marzo, rivive il giorno in cui ha portato a casa il figlio, e lo celebra con una torta Sacher, non come ricordo, ma come continuità. Un giorno che si rinnova, ogni anno, nella sua forza.

E chi riconosce che la bellezza vive nei dettagli imprevisti di ogni stagione: il profumo della primavera, i colori dell’autunno, il silenzio della neve. Tutti istanti che non si aspettano, ma che sorprendono.

Tra gli istanti ricevuti, c’è anche chi ha visto un girotondo di microfoni, tutti puntati verso un vuoto. Un’assenza di voce. E in quella scena, ha colto qualcosa un’epifania sul nostro tempo.
Un istante che ci invita a sottrarci al rumore, per fare spazio a ciò che ha davvero voce: la presenza.

Una realtà che si tesse da sola, raggiungendo l’assieme

Quando leggo questi frammenti uno dopo l’altro, sento che non raccontano semplicemente delle vite. Stanno tessendo una trama. Una mappa di esperienze autentiche. Una biografia dell’umanità che non ha bisogno di grandi concetti per esistere.

In ognuno di questi istanti vive una forma di appartenenza nuova: non basata sull’identità, ma sull’intensità e la risonanza. Non su opinioni, giudizi o concetti astratti, ma sulla verità di ciò che accade.

Per questo continuo a raccogliere istanti e invito chiunque lo desideri a farlo. Perché ogni istante accolto e condiviso è un filo in più nel tessuto del mondo. Un frammento di vita che non cerca di spiegare, ma che evoca qualcosa che da sempre è già lì, che già da sempre ci unisce.

Se ti va di condividere anche il tuo istante, scrivimi. Oppure resta in ascolto. Perché, come ho detto prima, gli istanti non si cercano: arrivano.

Lieti momenti,
Giada

P.S.: la trama di questa realtà collettiva, è emersa dai frammenti di estrema realtà ricevuti da Daniele, Luca, Tiziana, Ramona, Armonie Interiori, Rosa, Sara, Milena, Mauro, Alessia, Gabriela, Giovy, Sabina, Stefania e Paola, a cui va il mio più sentito grazie ❤️🙏.

Una riflessione e un invito sulla pratica di raccogliere istanti

Lasciare che l’ignoto si manifesti

Mi capita spesso di raccogliere istanti. È una pratica che coltivo da tempo, e che non è solo un’abitudine, ma una vera e propria postura esistenziale. Non cerco gli istanti. Li lascio arrivare. Ed è in questo gesto che ho imparato qualcosa di essenziale: che l’atto di cogliere un istante non è una presa, ma una resa.

Non si tratta di andare a cercare qualche cosa, come fa il pensiero analitico, ma di stare in una posizione di apertura. È come diventare un punto di risonanza, un ricettore. Una forma di disponibilità radicale. Ascolto puro. Non si tratta quindi di una relazione con ciò che già sappiamo, ma con ciò che ancora non conosciamo; con l’ignoto, appunto.

Recettività sacra

Mi piace pensare a questa disponibilità come a una recettività sacra. Come se in certi momenti si aprisse un varco tra mondi: tra il visibile e l’invisibile, tra il quotidiano e il mistero. Ed è in quell’istante, così reale da farsi quasi insostenibile nella sua intensità, che l’ignoto diventa quasi tangibile. A volte sembra persino volerci parlare. Ma non lo fa gridando. Lo fa accadendo.

Sono convinta che molti dei momenti più autentici della vita provengono proprio da lì. Non dal voler dire qualcosa, ma dal lasciarsi dire da qualcosa.

Istanti di una mia giornata

Generalmente lo decido già al mattino: oggi accolgo. Poi, man mano che gli istanti di estrema realtà appaiono, li scrivo su un calepino. Ecco il frutto di una giornata passata così, mettendomi in relazione con l’ignoto:

L’incredibile quantità di cinguettii mattutini, in primavera. Colazione a base di torta di due compleanni. La foto di papà a letto. Ripercorrere strade del passato e ricordarsi ancora esattamente i tempi di percorrenza fra un punto e l’altro. Il messaggio di Alessia giunto dalle profondità della montagna, e di un falco appollaiato sull’albero. Milly. Riappropriarsi di case e gettare cose. Quell’odore terribile. Il grigio-blu di certe nuvole cariche di pioggia. Michela e la sua parete lilla che respira in su. I biscotti di Natale della Nina congelati a gruppi di 4. Il barattolone di cipollotti sott’aceto. Il ciclo che torna, a volte. Il ronzio del frigorifero in casa d’altri. Filippo quando ride. Francesca che se ne va.

Nessuno di questi elementi è straordinario in sé, ma lo diventavano nel momento in cui mi capitava di vederli per davvero; nel momento in cui riuscivo a coglierli nella loro straordinaria intensità.

Dare spazio all’ignoto

Questi frammenti non cercano un significato a tutti i costi, ma lo contengono già in sé proprio perché sono stati visti. Non visti come si guarda qualcosa per possederlo, ma visti perché accolti. È uno sguardo capace di lasciare al mondo la possibilità di accadere, consacrandolo.

In fondo anche il ronzio di un frigorifero può essere epifanico, se chi guarda lo è.

Io credo che la raccolta degli istanti di estrema realtà sia una sorta di narrazione intuitiva del mondo. Non è lineare, non spiega, ma evoca. Ed è in questo evocarli che rimangono vivi.

Un invito a condividere

Ogni tanto rivolgo un appello a chi mi segue: condividete i vostri istanti di estrema realtà.

Non so bene spiegare perché lo faccio. Non c’è uno scopo preciso, nessun risultato da ottenere. Ma sento che in ogni istante colto e donato c’è qualcosa di più grande che si attiva. È come se, condividendo ciò che ci ha toccato davvero, disegnassimo insieme una mappa invisibile della realtà vissuta.

Un istante raccolto da qualcuno, in un tempo e luogo che non conosco, può risuonare in me. E viceversa. E forse, proprio in questa risonanza tra vissuti autentici, si nasconde una forma di appartenenza nuova: non basata sull’identità, ma sull’intensità. Non sul concetto, ma sulla verità di ciò che accade.

Per questo chiedo di condividere. Perché credo che ogni istante donato sia un frammento di mondo che si apre agli altri, e che un giorno, da questa costellazione di istanti, potremo vedere la biografia dell’umanità emergere. Non come qualcosa da scrivere, ma come qualcosa da sentire.

Se ti va di partecipare, o semplicemente di saperne di più, puoi seguirmi sui miei canali social, iscriverti alla newsletter, oppure scrivimi una mail… che bello scriversi, a volte è già un modo per iniziare a condividere (e creare) istanti di estrema realtà, assieme.

Lieti momenti

Giada

Una foresta di istanti: perché abbiamo bisogno di nuove storie condivise

Abbiamo ancora miti che ci uniscono?

Nel 2021, mentre lavoravo all’opera #solstizioinverno2020, ho percepito per la prima volta in modo netto il potere di una narrazione collettiva. Avevo chiesto alle persone di raccontarmi la loro giornata tramite messaggio vocale, che poi risolvevo in gesti pittorici su tela. Senza rendermene conto, stavo componendo una foresta di esistenze.

Nei messaggi si parlava di pianti, speranze, scazzi, addii, musica, amori eterni, caffè, confusione, solitudini, semi di mela, aspettative, rumori, famiglia. Frammenti di quotidianità che, intrecciati, creavano qualcosa di più grande della somma delle singole esperienze.

Ho sentito come un insieme di istanti personali potesse diventare patrimonio collettivo, come la semplice condivisione di un momento potesse restituire un senso di appartenenza.

Dal sé al noi: la mitopoiesi come atto sociale

A distanza di tre anni, mi accorgo che quello che facevo era già una forma di mitopoiesi contemporanea. Ma cosa significa? La mitopoiesi è la creazione di nuovi racconti collettivi partendo dalle esperienze reali, per dare senso alla realtà e unire attraverso le storie. Quindi non più miti imposti dall’alto, ma storie nate dall’incontro e dall’insieme delle esistenze.

È questo ciò che voglio provare a fare con il mio lavoro: costruire un nuovo collante sociale laico, un filo che ci aiuti a ritrovare un senso di appartenenza senza dover aderire a dogmi, ideologie o visioni univoche. Sono dell’idea che le storie possano ancora farlo.

Se nel 2021 la mia foresta era giunta come un’intuizione, oggi diventa una direzione: voglio continuare a raccogliere frammenti di realtà vissuta e trasformarli in una narrazione collettiva che ci aiuti a riconoscerci parte di qualcosa di più grande.

Una nuova direzione

Attraverso la mia ricerca artistica, continuerò a fare in modo più strutturato e consapevole:

  • Raccogliere frammenti di realtà vissuta

  • Trasformarli in una narrazione collettiva

  • Costruire un nuovo immaginario condiviso

Questa volta però non avverrà più su tela. Continuerò a creare parole collettive, cercherò di costruire un archivio vivente, proporre esperienze partecipative e utilizzare nuovi strumenti ancora tutti da esplorare.

In pratica inizierò a raccogliere istanti in un modo nuovo… anche se in fondo, vedrete, sarà sempre lo stesso.

Se anche tu senti il desiderio di far parte di questa narrazione collettiva, seguimi in questo percorso e, se non l’hai ancora fatto, puoi persino iscriverti alla newsletter.

Quindi a presto, per raccogliere insieme istanti di estrema realtà.

Lieti momenti

Giada

Leggi il post che avevo scritto nel 2021 a proposito del senso della foresta.

Scopri di più sul dipinto Solstizio Inverno, da cui è scaturita questa sensazione

Il contesto: un nuovo senso a nostra disposizione

Il contesto non è solo un ambiente che ci circonda, ma un vero e proprio senso aggiuntivo a nostra disposizione, un sistema dinamico di relazioni e interazioni che evolve con noi e ci accompagna ovunque andiamo. Non si tratta solo di un luogo fisico come un bosco o una città, ma è un insieme di percezioni, sensazioni e segnali che formano una rete complessa attraverso la quale gli istanti prendono vita.

È il contesto a dare vita e significato agli istanti, trasformando semplici frammenti di tempo in momenti ricchi di connessione e significato. In pratica è un tessuto di esperienze che agisce come una funzione sensoriale, un senso in più che possiamo attivare per esplorare il mondo.

Per cogliere veramente gli istanti, è quindi fondamentale entrare in sintonia con il contesto. Questo significa osservare e ascoltare ciò che ci circonda con un atteggiamento aperto e ricettivo, prestando attenzione a ciò che normalmente sfugge ai nostri sensi. Spegnendo i segnali abituali e concentrandoci su ciò che è meno evidente, è ad esempio possibile scoprire un attorno impensato e fino a quel momento ignorato.

Il contesto non è però solo lo sfondo degli istanti, ma il terreno fertile in cui questi momenti possono emergere e connettersi tra loro. Senza un contesto ricco e variegato, gli istanti resterebbero isolati, privi della connessione che li rende vivi. Per questo, la relazione tra istanti e contesto è inscindibile e infinita: uno nutre l'altro, creando un tessuto di esperienze che dà senso alla nostra vita quotidiana.

Un senso che non è da intendersi solo come significato, ma anche come direzione. Infatti il contesto è sì un luogo da attraversare ma è anche una zona che ci segue, che si sposta con noi indicandoci la via.

In pratica il contesto può essere esplorato non solo come zona, ma anche utilizzato come nuovo senso a disposizione per scoprire inesplorate sfumature e profondità del mondo che ci circonda, che ci accoglie e che siamo, assieme.

Lieti momenti
Giada