Quando a parlare è il Silenzio, il pezzo per #faigirarelacultura

Ho partecipato a quattro giorni di Silentium: un ritiro spirituale che più di un ritiro si è trattato di un’espansione. Di quelle grandi. Inglobanti. Di quei “Woom” e ti ritrovi tutto dentro, ma andiamo con ordine.

Sono arrivata sul posto all’ora di cena, occasione in cui si possono conoscere i compagni di avventura in refettorio, tutti seduti dallo stesso lato, in fila, uno a fianco all’altro. Per una volta non ero la più giovane ma anzi, devo dire che mi aspettavo un’età madia più elevata invece ci siamo attestati attorno ai 50: dai 35 ai 60, circa. La prima sera era ancora permesso parlare ma si capiva che non era già più necessario. Poche parole, pochi dettagli: eravamo solo in due alla nostra prima esperienza. E poi a nanna, ognuno nella sua accogliente cella.

Diana. Colazione. Sono entrata in refettorio con la curiosità di scoprire questo taciturno modo di comunicare e mi sono ritrovata davanti sette sorrisi: che meraviglia, già solo per questo sarebbe utile prescrivere il silenzio! Al termine ognuno per la sua strada. Si può fare ciò che si vuole fino all’ora della prima lettura: ce ne sono due, una mattutina e una pomeridiana. Decido di andare nei boschi attorno al convento, luoghi in cui ho praticamente passato gli altri giorni restanti. Sono luoghi magici, e quando dico magici intendo proprio di quelle cose che affascinano, che emanano effetti straordinari in grado di luccichinizzare il tutto. Poi qui la bellezza è in quella giusta misura che ti fa sentire protetto: ti avvolge, la indossi, la puoi stendere sopra te per dormirci sotto in beatitudine e farci pure dei bei sogni, e il tutto restando sempre sveglio.

Mi faccio quindi una bella passeggiata e sulla via del ritorno incontro una Signora “Oh che bello incrociare qualcuno con cui fare quattro chiacchiere”. Ok, ho dovuto mettere per un attimo il silenzio in pausa ma non credo il supremo se la sia presa a male, anzi. A parte questa bolla di parole (per altro poche, da parte mia) per il resto ho vissuto davvero qualche giorno senza profferir verbo, cosa che ha permesso alla comunicazione di esplodere nei suoi più sottili significati.

Come quando sei in mezzo alla natura e la senti manifestarsi in tutta la sua magnificenza e straordinarietà: impiegavo ore per fare pochi metri da tanto ogni cosa riusciva ad attirarela mia attenzione, quasi avesse la necessità assoluta di essere vista o forse ero io che inconsciamente ne bramavo l’esistenza. Un giorno di sole, uno di pioggia, uno con la neve e infine la nebbia: ma quanti “wow” sarò riuscita a pronunciare in quei giorni? A manciate, come coriandoli di stupore gettati all’aria in questa carnascialesca baldoria dei sensi.

Oppure come quando percepisci la differenza dello stare in silenzio da soli o in compagnia. Diciamo che il significato della parola rispetto qui assume una forma diversa, più densa, permanente.

O ancora come quando i pensieri non ti affollano più la mente ma a poco a poco, di loro iniziativa, si mettono seduti lasciando libero il campo all’accadere. Il Silenzio come presenza a cui è bastato presentarsi per imporsi in modo non autoritario ma autorevole: un leader nato dal carisma strabiliante, e forse in questo caso anche un po’ divino.

E il tempo? Che dire di quella sensazione di tornare finalmente ad essere in sintonia con il trascorrere del tempo? Ti volti e lui c’è, è lì, ti guarda dritto negli occhi e ti lancia uno di quegli sguardi che solitamente aleggiano al centro di un gruppo musicale, di quelli utili a capire quando si è tutti pronti ed è ora di iniziare a suonare. Ma lo sapete che il tempo quando scorre giusto emette musica? Giuro! Come mettere un disco alla velocità con cui è stato impresso, condizione che permette persino di ballarci assieme. E sulle note di un incantevole ballo sono giunta alla fine dei quattro giorni, a cui ne avrei aggiunti volentieri ancora un paio giusto così, nella speranza di capire ancora un po’ di più, forse.

E se quando arrivi ti saluti sorridendo quando te ne vai lo fa abbracciando, non solo le persone ma anche tutto ciò che c’è attorno, e sono di quegli abbracci da togliere il fiato, di quelli che anche a poter utilizzare tutte le parole del mondo non sapresti descrivere. Credo sia semplicemente l’abbraccio del Silenzio: una cosa che sa un po’ di montagna e di luce, di fiume e di vita, di tutte le vite.

(Silentium – Convento Santa Maria dei Frati Cappuccini – Bigorio)

(pubblicato su Timmagazine

Percorso artistico personale

PRIMA TAPPA 

Quando mi volto indietro scorgo sempre da qualche parte, a volte in modo evidente altre più nascosto, l'arte. Se però durante la formazione al Centro Scolastico Industrie Artistiche di Lugano la vivevo come una forma d'espressione semplicemente alternativa a quella tradizionale, attorno ai 30 anni le cose cambiarono: restava sì una forma di comunicazione, ma di qualche cosa di cui nemmeno io conoscevo l'esistenza: l'altra me. Sono passati 13 anni da allora e, complice un invito a partecipare a uno scambio d'esperienze su Facebook, ho deciso di presentare il mio percorso qui, suddiviso in sette tappe. Oggi, essendo la prima, vi presento lui: One. Si chiama così perché è la prima tela creata, ed è stata soffertissima.

Mi ricordo ancora tutto alla perfezione: sono entrata nell’atelier di un caro amico artista e accanto al suo trovo ad aspettarmi un cavalletto con sopra posizionata una tela dim. Cm 140x140, con a lato a disposizione tutti i colori del mondo. Ero lì per quello, volevo (dovevo) cominciare, ma in quell’istante mi sono sentita la persona più vulnerabile sulla faccia della terra. Dopo un'ora in cui non riuscivo a schiodarmi dall'impasse ho preso il coraggio fra le mani e via: ho iniziato a piangere! 29 anni e giuro: singhiozzavo come una bambina. Non so cosa sia accaduto o meglio sì, lo so (oggi), ma insomma quei colori erano riusciti a entrare di soppiatto nelle viscere e a rivoltarle completamente, tanto che il bianco è stato l’unico colore che quel giorno sono riuscita (tremando) ad usare. E così ho fatto per mesi. Strato su strato. Solo bianco. Da agosto a dicembre, fino alla notte di capodanno.

Il 31 dicembre ho voluto rimanere a casa sola con lui, perché nel 2004 proprio non ce lo volevo portare: dovevo finirlo. Ho liberato il soggiorno, ho steso la plastica per terra, al centro vi ho adagiato la tela incrostata e via: musica, colori, pennelli, acqua, alcool, sigarette, nomi, situazioni, fatti, paure, desideri, sogni, rimpianti, di tutto… giuro di tutto ci ho messo dentro in quel quadrato di lino fino a quando è arrivato il 5… 4…. 3… 2… 1 e stop, è scoccata la mezzanotte. Tempo di tirare in fretta indietro le mani e “bum”, la porta si è chiusa e quel quadro è rimasto di là, nel 2003. A dire la verità speravo che con lui sarebbero rimaste incastrate nel passato anche le cose che ci avevo inserito ma purtroppo non è stato così. Alcune nel corso degli anni sono svanite, altre a volte tornano e altre sono ancora lì ma non hanno più lo stesso potere: d’altronde se si vogliono avere a disposizione tutti i colori del mondo è necessario prendere anche quelli che fanno più male anche se, a dirla tutta, credo siano stati proprio loro quelli che più di tutti mi hanno aiutata ad uscire dal bianco… 

TAPPA NUMERO 2

Nella tappa numero 1 vi ho parlato del primo passo o meglio, del danno avvenuto; dopo One il percorso era stato intrapreso e non restava che seguirlo, ovunque portasse. Fu così che arrivai alla scultura: se nei quadri inserivo, nelle sculture estraevo. Questa è Alba, la mia prima opera eseguita in marmo d’Arzo nel lontano 2003 durante un corso estivo. Lascio la descrizione al discorso che dovetti tenere all’inaugurazione della mostra, senza aver nulla modificato o corretto. Buona lettura.

Da: Giada Bianchi
A: tutti voi qui presenti.

Arzo, 19 luglio 2003.

Oggetto: Le mie ultime due settimane.

Gentili Signore,
Egregi Signori,

con la presente vorrei dare testimonianza di un’esperienza diretta vissuta durante il corso di scultura indetto dalla ditta Rossi di Arzo dal 7 al 19 luglio ultimo scorso... Ecco, ho voluto cominciare così per dimostrarvi proprio quello che per 2 settimane ho letteralmente dimenticato, la formalità, gli schemi, il rigore, soprattutto il lavoro.

Avrei potuto scegliere fra 2 settimane di vacanza di assoluto riposo in 18esima fila al bagno numero 317 sulla Riviera Adriatica oppure l’ignoto, perché il marmo e la scultura ignoti mi erano sino a 2 settimane fa, ma grazie alle parole incoraggianti e all’entusiasmo trasmessomi da Gabriella ho scelto (per fortuna) la seconda variante.

Devo ammettere che rientrata a casa la sera del primo giorno, la tipica pensione “Admiral” a Milano Marittima mi sembrava un hotel a 5 stelle; almeno li sarei riuscita a prendere in mano il bicchiere senza rovesciare metà del suo contenuto sul tavolo a causa del tremore alle mani. Ma ora, col senno di poi, non posso nemmeno porre un paragone fra le 2 cose.

Il primo sabato c’è stato un incontro sul posto per conoscere i propri compagni di avventura e per trovare il o la propria partner ideale… e così è stato, un colpo di fulmine è scoccato ed ho così trovato il mio partner, forte, deciso, caldo…. Unico inconveniente per presentarlo in famiglia come ipotetico futuro marito era la sua età, in effetti io sono molto più giovane di lui… milioni di anni più giovane… lo chiamo persino “il mio vecchio fossile”, tanto lui non si offende mai, è un pilastro per me, ed è anche molto ricco, ha appena ereditato un patrimonio enorme, di un certo Signor Unesco…

E’ tanto difficile descrivere ciò che ho provato in queste settimane quanto facile… va bé, non esageriamo, facilino per chiunque tentare quest’avventura.

C’è chi è partito da principiante e chi da esperto, o chi come Giovanni si è dimostrato un principiante più che esperto, ma ogni volta che alzavo lo sguardo quello che vedevo riflesso negli occhi dei miei compagni, attraverso mascherine, foulards, cappellini, paraorecchi, malgrado i 30 gradi all’ombra, era la medesima luce, lo splendore della soddisfazione e l’amore verso le proprie opere. Alcuni di noi sono partiti con progetti definiti ed altri si sono lasciati guidare dall’ispirazione, ma in entrambi i casi l’approccio con la pietra è il medesimo, non bisogna mai partire con l’intenzione di dominare, di sfidare e di vincere, ma bisogna recuperare quell’umiltà e quel rispetto che troppo spesso ci dimentichiamo di avere; infatti il marmo è tanto forte quanto fragile, persino lui possiede un’anima, e viene mostrata ad ogni taglio, ad ogni colpo…. Un colore diverso, un quarzo od un fossile nascosto, una crepa invisibile…. Una spaccatura inattesa! E’ durante questa fase di scoperta, di conoscenza che nasce l’amore. Bisogna accettare i limiti di entrambi, mettere in discussione le reciproche possibilità, trovare dei compromessi comuni…  e le sculture qui esposte sono la coronazione di questo amore, un matrimonio lungo una vita.

Vorrei ringraziare a nome di tutti i nostri sacerdoti (per rimanere in tema) che hanno celebrato queste unioni:
- Milena Taneva, scultrice Bulgara che lavora a Carrara dalle poche parole ma eccezionalmente precisa nei fatti…. Un po’ meno a parcheggiare
- Giorgio Morandini, scultore del Friuli, dalle incoraggianti parole e altrettanto eccezionale nei fatti e dalla carinissima moglie.
- Pier Marco Bricchi, scultore di Coldrerio dalle tante… tante.,… tante… tante parole… inutile aggiungere che pure lui nei fatti si è dimostrato eccezionale.  

Non da ultimi ringrazio Oreste e Gabriella Rossi, che permettono ormai da anni di far conoscere ad alcuni e di lasciar approfondire ad altri questa splendida arte. Solo una piccola critica ho da fare nei loro confronti, sul depliant informativo inviatomi a casa c’era indicato “corso di scultura”, bé, dovrebbero aggiungere almeno come sottotitolo che è anche un corso di “plasmatura personale dell’anima”.

Per concludere vi chiedo di guardare anche solo per un attimo le sculture qui esposte tralasciandone il significato (se l’hanno), eliminando il proprio gusto personale e chiudendo l’occhio critico, vi apparirà sicuramente il loro denominatore comune, che è la loro bellezza.

TAPPA NUMERO 3

Il primo quadro l’ho presentato, la prima scultura anche, ora passiamo all’unione dei due: i materici, stile a cui sono giunta per frustrazione. Mi ricordo ancora uno scritto dell’epoca che non riesco più a sbloccare (l’avevo addirittura protetto con password, per dirvi…) in cui dicevo che io “questa cosa” non so se la volevo veramente perché non la sapevo gestire, parlando della creatività. Il voler fare ma non sapere cosa, il voler esprimersi ma non sapere come fino a quando diventava una necessità ma la cui esecuzione rimaneva comunque insoluta: insomma, grandi tormenti.

Poi è capitato che andassi a vedere la preparazione del carro di carnevale di un amico in cui usavano il gesso e bum, è stato amore a prima vista. Inserire le mani nella materia, lavorarla, odorarla, gustarla e sentirla mi permetteva di spegnere il cervello e di fondermi con essa, momento in cui potevo iniziare a ricostruirmi sul pannello (o tela o ciò che avevo a disposizione). La stesura del prodotto è una danza a due paragonabile al movimento dolce, sensuale e deciso a cui ci si abbandona durante le arrampicate in montagna: all’epoca lo chiamavo “il tango dell’ascesa”, e forse è proprio così. Il ballo durava due atti, il primo in cui formavo la materia e l’altro in cui dipingevo, sempre senza pensare, lasciandomi semplicemente andare fino a quando la musica cessava. E accadeva sempre così, improvvisamente, quando guardandosi in faccia capivamo entrambi che ciò che dovevamo dirci era terminato; quindi grazie, arrivederci, è stato bello ma ora basta: avanti un altro…

Nella foto Magma, un bassorilievo in gesso dipinto in acrilico, diametro 2 metri.

TAPPA NUMERO 4

Dopo tele, marmo e bassorilievi, approdare alle sculture in gesso è stato quasi un processo naturale. Di questo materiale mi piace tutto, dalla polvere al colore alla disponibilità, ma la cosa che più di tutte è in grado di toccarmi l’anima è il suo calore, quello vero non simbolico, proprio il calore che si percepisce con le mani durante la solidificazione. Quando lo si mescola con l’acqua, per un suo particolare processo chimico, si scalda. È una cosa meravigliosa: sembra umano, e appoggiarci sopra le mani o la fronte (ebbene sì, a volte mi ci lascio accarezzare) è un bacio al cuore. La descrizione della mia prima scultura in gesso la lascio a uno scritto dell’epoca usato durante un’esposizione.

Titolo dell’opera: Silenzio, gesso altezza 113 cm.

Il desiderio di creare una forma mi ha condotto casualmente a scegliere come tema il silenzio. A questo punto nasce spontanea la domanda: “ma cos’è per me il silenzio? Ha un rapporto diretto con la musica?”.
La musica per conto mio è una conduttrice di pensieri e sensazioni, una sorta di tappeto volante su cui lasciarsi andare e trasportare dal suono, su panorami che nascono attorno a noi dal bisogno attuale di evasione e dai ricordi vissuti, aiutati dall’emozione e dalla velocità data dal ritmo a cui la musica porta.
Il silenzio è qualche cosa di più sottile, di meno tangibile ai sensi ma che da altrettanto trasporto della musica. Più che un fluttuare su un tappeto in mezzo a visioni è un fluttuare nell’Oceano, un essere sospesi in un elemento denso, senza il peso della gravità, dove il trasporto è dato dalle onde e dalle correnti dell’attorno stesso, senza mezzi che ne creano il moto. Questo viene percepito da ogni singola cellula senza però essere definito dal pensiero logico, una sorta di intuizione tattile.
A seguito di questo è nata l’idea che il silenzio non è a se stante ma deriva dall’apice della musica, uno stravolgimento chimico del medesimo elemento, in pratica il silenzio è un’ultra musica, come abbattere la barriera del suono, superarlo, passarci attraverso, andarci oltre.
Il silenzio dunque è trascendente alla musica, ma non per questo separato da essa.

TAPPA NUMERO 5

Eccoci giunti alla quinta tappa evolutiva del mio percorso artistico. Non so se sia stato il processo di trasformazione del gesso a portarmi lì, ma dopo quella tappa approdai alla pittura a olio, che di alchemico possiede proprio tutto. Oggi dipingi, vai a farti la vita, il giorno dopo torni e ti ritrovi davanti un quadro diverso da come l’hai lasciato. Il colore si trasforma. Ne vengono avanti alcuni e altri retrocedono, continuamente, per giorni, o per tutta la vita: in fin dei conti il colore a olio non si ferma mai.

Inutile dire che persino questo quadro fu una sofferenza pazzesca; in quel periodo non stavo proprio bene. E quindi cosa c’era di meglio che mettersi alla prova sperimentando una nuova tecnica? Dei colori a olio non conoscevo nulla se non le esecuzioni finali poste nei musei, quindi ok cominciamo e sperimentiamo. L’odore dei vari medium apre una porta nuova dentro te, ma non un passaggio da percorrere o un pertugio attraverso cui guardare, ma di quelle porte che creano corrente d’aria, di quelle che quando apri fanno effetto camino e tirano fuori la roba vecchia e stantia per sostituirla con ossigeno puro. E così mentre stendi un colore pensando a un effetto te ne passa davanti un altro che fino a quel momento non esisteva, rimasto incastrato nel flusso delle correnti d’aria e che ora ti ritrovi lì, a guardarti fisso negli occhi, e non gira via lo sguardo no, lo sostiene, a lungo, senza arroganza o sfida, ma piantato dritto nei tuoi, e lo sai che non ti sta solo guardando, ma ti vede!, e d’ora in avanti non servirà più a nulla nascondersi perché lui sa dove sei, e anche se scappi prima o poi verrà a prenderti per portarti davanti a quella porta che non hai voglia di aprire ma che insomma, forse è arrivato il momento di cambiare aria anche dentro lì che se no soffochi, un’altra volta…

In questa immagine trovate Passion, olio su tela dim. Cm 120x100.

TAPPA NUMERO 6

Nel giorno 5 vi ho raccontato di come la pittura a olio mi abbia guardata e vista: ebbene, da lì black-out completo. Ho smesso con la pittura e la scultura per un bel po’: anni. Capivo di aver visto qualche cosa di importante ma non avevo ancora i mezzi necessari per affrontarlo. E così ho preferito scappare e nascondermi ma, come detto ieri, lei sapeva dove venire a prendermi, e così è stato. Oggi so che in quel periodo ho avuto l’intuizione di ciò che ero davvero, ma visto che corrispondeva così poco a ciò che mi ero costruita e a ciò che mi circondava ho preferito far finta di nulla. Per fortuna a un certo punto ho trovato il coraggio di avvicinarmi a quella visione e ho ribaltato abbastanza (tutta) la mia vita. E se di vedere si è trattato, ora il vedere doveva apparire. Ecco quindi spiegato il ritorno al figurativo: non un figurativo di copia dal vero, ma un figurativo evocativo. Significa usare immagini come madeleine proustiane in grado di evocare ricordi, emozioni, momenti, storie, persone e tutta quella misteriosa magia che accade quando si aprono cassetti della memoria rimasti sigillati per anni. A volte non so nemmeno il perché di una figura ma va bene così: ora in un’opera non cerco più nulla, perché tanto so che sarà lei a trovare me ;-)

Titolo: Autoritratto, acrilico dimensioni cm 160x100.

TAPPA NUMERO 7

Questo quadro è appena stato dipinto (febbraio 2016) e credo rappresenti un’altra svolta. Ripercorrere in questi giorni ciò che ho fatto in tredici anni mi è servito per riappropriarmi di cose perse durante il tragitto, lasciate indietro più che altro per distrazione o per l’entusiasmo di cose nuove, condizione che a volte calpesta involontariamente vecchie usanze.
Per me dipingere, scolpire o creare, più che cercare uno stile è un sistema di approccio. Non mi interessa molto il risultato finale ma cosa accade per arrivare a quello. Come sono io, come mi pongo di fronte a un altro partire da zero, l’attitudine con cui decido di iniziare. Un po’ come in una performance sportiva, dove prima di affrontare un percorso c’è chi fa stretching, chiude gli occhi e lo visualizza, ascolta musica, si carica o si scarica… dipende, ognuno ha il suo rituale. Ebbene, mi sono accorta che alcuni rituali non li usavo più, e chissà perché. Se certe cose non hanno più alcun potere è giusto lasciarle andare, ma se hanno sempre avuto buon esito, perché non rispolverarle anche se appartenenti al passato? E così nell’affrontare quest’ultimo lavoro ho voluto riesumarne alcuni, la cui presenza la riconosco anche solo in un determinato modo con cui ho steso un colore o fatto un segno, e ne sono felice. Il risultato raggiunto mi sembra ora più coerente con il mio vissuto, più giusto, che poi sia bello o brutto non importa più, per fortuna.

Quadro diario 4 - 10 febbraio 2016 - Acrilico su tela, dimensioni cm 100 x 100

TAPPA NUMERO 8

Questa non è proprio una tappa del mio percorso artistico personale, oppure sì... in fin dei conti ogni esecuzione può considerarsi un punto a sé: una nuova scoperta, una visione differente, una evoluzione rispetto a quanto fino a quel momento eseguito. Nella pagina Canvas Gallery potrete quindi dare uno sguardo allo stile/attitudine di lavoro attuale, in attesa che dal percorso scaturisca una nuova tappa, di quelle in grado di segnare le svolte espressive. Qui sotto invece, un po' di lavori di ciò che è accaduto fra la la settima e la prossima tappa.

Quei film che iniziano alla fine #faigirarelacultura

Quei film che iniziano alla fine. Di quelle cose che piacciono a me. Di quelle che vado per curiosità e me ne torno a casa con un bastimento carico (carico) di emozioni e idee, a cui so necessitare almeno una settimana di decantazione per tirarci fuori qualche cosa di utile, foss’anche un pensiero. Dunque: il Museo Vela di Ligornetto quest’anno ha deciso di tenere aperto anche durante la stagione invernale e, per movimentare mostre e luogo, organizza cose. Ma cose belle, intriganti, e questa volta persino temporalmente rivoluzionarie.

Mi siedo nella sala tra statue di gesso e sguardi vivi; la gente affluisce. Partono i discorsi di ringraziamento, qualche spiegazione giusto per offrire un contesto e via: le luci si spengono, la visione del lungolago a inizio ‘900 appare e con lui l’accompagnamento al pianoforte dal vivo. E buuuuummmmm: sono stata travolta da una ventata come se qualcuno avesse tolto all’improvviso il parabrezza di un’automobile in viaggio. Ho fatto un gran respiro dallo spavento ma poi, quando ho capito che si trattava solo di ossigeno in quantità, mi sono rilassata sullo schienale e se ci fosse stata una portiera vi avrei persino appoggiato sopra il gomito, come nei viaggi in cabriolet.

E infatti è così: assistere a un film muto è un viaggio fuori dalla ragione per approdare ai sensi, una cosa che ti fa venir voglia di allungare la mano per sentirne la consistenza: dei sensi intendo, di tutti e cinque (sei). Non ci sono parole, solo immagini e musica. Nulla da capire ma solo sentire, quel sentire che parte dalla punta dei capelli, arriva ai piedi e poi si unisce a quello di tutti gli altri presenti in sala. E a me queste cose sono in grado di generare due lacrimoni grandi così, che naturalmente ho versato. Ma non alla fine dello spettacolo come solitamente accade, quando dalla commozione vorrei entrare fisicamente in ciò che ho davanti (attore, regista, musicista, eccetera), arrampicarmici dentro fino ad arrivargli al timpano e sussurrargli grazie. No, stavolta mi son scesi subito, all’inizio, perché ho capito che i film muti sono spettacoli all’incontrario!

Si inizia piangendo, poi ci si emoziona, ci si appassiona, ci si incuriosisce e infine (che poi sarebbe l’inizio) ci si mette lì, in attesa che tutto accada. E la cosa incredibile è che qualche cosa alla fine inizia ancora per davvero! Cioè quando tutto è terminato sali in automobile, accendi, parti verso casa e dopo un po’ ti ritrovi improvvisamente su una cabriolet, dove se allunghi una mano li senti, i sensi, e se ti concentri un po’ odi pure il rumore del ciak, momento in cui non ti resta null’altro da fare che pronunciare un nuovo: si gira… e Azione sia.

pubblicato su Timmagazine

Pioggia

Perché amo la pioggia, perché da tanto tempo non arrivava, perché il suo rumore mi rilassa, il suo odore mi ispira e la sua freschezza mi contagia. Perché con sé porta messaggi, è altruista e benevola. Poi a volte è vero si infiamma, ma come tutte le cose buone quando decidono di mostrarsi in quantità. Insomma, questo video lo dedico a lei: "ciao pioggia ciao, ti voglio bene" ;-).

Dalla mia finestra vedo... vedo...

Ho una voglia di scrivere del nulla che non immaginate. Tipo “Adesso prendo un foglio e dico velocissimo ciò che vedo davanti a me”. Uno due e tre: “schermo del PC, scritta ‘el mobile’, campanile chiesa, condensa riscaldamento (Giada va che se lo vuoi dire velocissimo le virgole non ci vogliono) (vero!) riflesso lampada ikea Styles temperino al gelato alla vaniglia porta latte Masaba automobili in uscita sullo svincolo lampeggianti blu dell’ambulanza (l’effetto migliorerebbe se tu togliessi persino gli spazi) (vero 2!) pacchettobiscottiametàcuffiettetelefonobloccoaapuntiagendamatitaneraconSwarovski (ok, hai reso… contenta?). Poi però ti si insinuano dentro quelle vocine che ti dicono cose strane tirando in ballo regole di ogni tipo per non parlare di stati d’animo, come se questi ultimi c’entrassero qualche cosa (c'entrano, lo sai) (no) (io dico di sì) (nooohooo)(ribadisco)(ahè). Ok, magari un qualche cosina lo stato d’anima c’entra (d’animo)(no, stavolta ho ragione io); anche se in fondo è poi solo colpa dello shiatzu (shiatzu?)(aspetta…). Cioè, uno va per farsi mettere a posto una determinata cosa e invece bla bla bla e bla da un’altra parte, tipo quando vai a farti fare gli esami per le allergie e salta fuori che sei intollerante alla metà delle cose che adori: poi va a finire che non le mangi più anche se non ti hanno mai dato problemi (ma se tu quell’esame non l’hai mai fatto!) (appunto, pensa se salta fuori che sono intollerante al prosciutto crudo) (c’è di peggio) (ma sai che voragine si formerebbe nel mio frigo?) (esistono ottime alternative) (nessuno può mettere baby in un angolo) (ascoltami: lo Sbrinz) (non pioverà per sempre) (ok, stai facendo i capricci) (nananananananaaaaaa) (oca) (vero, le olive!) (che pazienza…). Questo per dire che non è che mi lascio condizionare ma insomma, le cose che ha detto la Signora del massaggio non erano proprio sbagliate, sono io che non le avevo proprio viste. Così adesso ho deciso che d'ora in avanti mi piazzerò qui e scriverò tutto ciò che vedo per sempre, così non mi sfuggirà mai più nulla (illusa) (arriva lei, la saccentona) (certe cose anche se le hai davanti agli occhi non le puoi vedere) (non è vero, prima ho scritto tutto) (sicura?) (e cosa vuoi mi sia sfuggito? Va be’ la pioggia, la ringhiera del capannone e forse sì, i diciassette lampioni sulla collina) (guarda bene) (mmmh, sì, c’è tutto) (biib, sbagliato) (la polvere sul davanzale?) (no, ma ci sei vicina) (…) (alza ancora un po' di più gli occhi, davanti a te) (ops) (già) (c’è il mio riflesso) (ecco, mancavi tu). Sapete che vi dico? Che questa cosa dello scrivere velocissimo alla fine mi ha messo pure fame (ne avevi anche ieri e ne hai pure già scritto) (#JeSuisSteveJobs #StayHungryStayFoolish), quindi buon appetito: faccio cena.

 

(buon app) (anche a te) (poi però domani basta con ‘sta storia ok?) (io non sono cattiva, è che mi disegnano così) (ok, ciao) (;-))

Il mio ritmo del "vado"

Oggi ho mangiato una mela verde. Nulla di che, se non fosse che l’ultima l’ho mangiata più di due anni fa. Vado a periodi. È una cosa che ha i sui pro e i suoi contro ma se non altro mi dà un ritmo, e vado. Dove? Vado; mi basta. Con il nuovo anno è iniziato un vado diverso. Non so, son quelle cose che inizi smontando l’albero di Natale e ti ritrovi ad aver sgomberato mezza casa. Ho una parete su cui attacco i lavori più significativi: 24 mollette a cui appendere il percorso, la strada, i riferimenti o la stasi o non so, qualche cosa. Ho tolto tutto tranne alcuni lavori fatti da altri e un testo che parla delle tenebre dell’insensatezza, il senso della ricerca e l’abisso della follia: già. Ed ecco. Niente. Era per dire che in questo ultimo lavoro ho voluto rappresentare il momento attuale, l’essermi svuotata di cose che mi sono state utili nel 2015 ma che ora andranno a nutrire altri giardini con altri venti. È che mi ritrovo adesso con una fame di roba nuova pazzesca! Sarà per quello che mi sono mangiata una mela verde anche se credo in questo caso c'entri di più il gesto: un qualche cosa che ha a che fare con l’addentare, o forse meglio un qualche cosa che ha a che fare con l’addentrare... 

 

Una madeleine proustiana che sa di pentola #faigirarelacultura

Nei giorni scorsi mi sono piazzata a casa dei miei genitori giusto così, per far finta di essere in vacanza, anche se un po’ lo sono stata veramente. Non è il luogo in cui sono cresciuta e non vi ho mai abitato, per cui niente “ah quel posto mi ricorda quella cosa lì” o intraprendere quei viaggi nel tempo che alla fine non sai mai dove ti portino veramente. Mi attendeva solo roba tranquilla: libri, tv, cane, lago, champagne (visto il periodo) e grissini (visto il periodo 2). Punto. Finita lì. Fino a quando non mi è venuta fame davvero e ho aperto l’armadio delle pentole. Ricordate i camini di Harry Potter? Ecco, qui non mi è servita la polvere volante, saltarci dentro e pronunciare alcuna destinazione: in un attimo sono stata proiettata nella cucina di legno verde di trent’anni fa, davanti al cassetto ad angolo che le conteneva. Una vetrina girevole di trecentosessanta gradi: una meraviglia! Un’esposizione di preziosi che se Truman Capote avesse visto, Colazione da Tiffany l’avrebbe ambientato lì.

C’era quella bassa e larga con il coperchio pesante e pomello d’oro (zecchino, ci scommetto) usata per le cotture lente, quelle che permettevano la modificazione cristallina di spezzatini e brasati da cui estrarre piatti da incastonare. Quella della stessa serie ma più stretta e alta, dove tonno e piselli o fleischkase e cipolle subivano la metamorfosi del monocristallino per offrire pietanze color rubino. Poi c’era quella del puré, media dal manico nero, quella del risotto, alta e larga con manici e coperchio in acciaio che ovunque la afferravi ti scottavi, poi quella delle uova sode, alta e piccolina con un pizzico d’aceto per fermarne l’apertura un po’ come si fa con lo smalto sui collant smagliati quando non si ha il ricambio. Che dire poi di quella altissima con i manici neri del mezzo chilo di pasta? Ah che gioia vederla apparire sul bancone! E di quella stretta e lunga con il doppiofondo a buchi usata solo un paio di volte? Vi prese vita un super gnoccone che una volta tagliato portava in superficie filoni d’argento a cui noi, felici esploratori, restava solo il compito di estrarre e immagazzinare.

Tutto questo comunque nulla poteva in confronto a lei, al cui cospetto persino il diamante blu della corona bavarese si sarebbe inchinato: la teglia rossa! Dicono che lo stesso Pininfarina si ispirò a lei per progettare la Ferrari. Acciaio puro smaltato rosso all’esterno, bianchi gli interni. Aerodinamica spaziale per permettere il perfetto circolo dell’aria nel forno, attraverso le cui nubi di fragranza sembra qualcuno vi abbia visto l’immagine di Cristo (all’ultima cena, ovvio). L’eleganza e maestria con cui riusciva a parcheggiare anche nei laterali più stretti, fra un centrotavola e l’altro, ha sempre ammutolito i presenti, silenzio per altro necessario ad accogliere degnamente il pilota eccelso al volante di tale bolide. Mormorii scesi, motore spento e attenzione alle stelle, ora la portiera poteva aprirsi: tacco a spillo bianco, gamba nuda fino alla coscia. Ne scendeva sempre lei, l’unica in grado di valorizzare appieno la tecnologia offerta dalla teglia. Fiera e maliziosa sui suoi tacchi da dieci centimetri (almeno) lanciava uno sguardo a destra, uno a sinistra, in attesa che i vapori fuoriusciti dalla metropolitana ne riuscissero ad alzare il vaporoso vestito: “oooohhh”, ed ecco la Marilyn Monroe della mia infanzia che si adagiava delicatamente nel piatto. Sono sicura che se Andy Warhol avesse assaggiato questo piatto gli avrebbe dedicato una serie di serigrafie; l’icona indiscussa degli anni ‘70: le lasagne di mamma.

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Progetto Quadri diario

Testo del 27 dicembre 2015:

A fine anno c’è chi fa buoni propositi, chi taglia rami secchi, chi nulla e chi tutto. Io solitamente oscillo fra due cose, o mi ammalo o cambio modo di dipingere. Non so come mai. Accade. E quest’anno non mi sono ammalata. Son di quelle cose che esco a fare la passeggiata con il cane torno a casa e uso pennelli e colori come mai fatto prima. Posseduta? Non so, anche se il motivo credo stia solo nel pensare meno, o in modo diverso. Quest’anno ho deciso di sfruttare la cosa e trasformarla in progetto. Voglio creare dei quadri diario. Ora sono ancora in fase sperimentale e l’approccio è fresco, ma ne vedo già l’evoluzione.

Si dice che ogni persona sia un giardino da coltivare affinché le farfalle di cui necessita possano giungere. Sulla base di questo pensiero racconterò su tela cosa accade nel mio giardino attraverso dei simboli. Vorrei farne uno per settimana, ma mi rendo conto che l’impegno sarebbe notevole. Diciamo che ci provo, almeno per un po’. Sarà un esperimento per capirmi e coltivarmi non solo in senso metaforico. Poi l’idea di creare un dizionario dei simboli made in me stessa mi piace ultra, e alcuni di questi elementi prenderanno vita fisicamente per essere venduti. Vediamo. Qui nel frattempo vedete il primo esperimento, quello che ha segnato la svolta. I fiori scelti hanno un significato, come pure la luna e i rami degli alberi che appaiono. I simboli resteranno sempre bianchi in quanto è il colore somma di tutti gli altri, come ogni individuo è il risultato di ciò che è. Emozioni e sentimenti li riporterò nell’atmosfera, nell’attorno, luogo in cui si riflette tutto ciò che facciamo e siamo, filtrato da chi riceve e rimanda. In questo quadro nell’atmosfera ho scritto ciò che sentivo, mentre in uno che ho fatto in seguito la scrittura non rientra già più; non è detto però sia abbandonata definitivamente.

Questo dipinto in verità non lo reputavo ancora finito, ma poi ho capito che proprio il fatto di rimanere incompiuto è ciò che gli ha messo la parola the end. Titolo: stasi. Le dimensioni sono 120x100 cm, acrilico su tela. Il progetto lo vorrei però incentrare sulla forma quadrata 80x80 (forma e dimensioni hanno il loro perché). Questo non impedirà di averne rettangolari o rotondi ma, così dovesse essere, sarebbe per un motivo e significato ben specifici. Ecco, questo è il nuovo percorso che mi sono prefissata per il nuovo anno, curiosa di capire dove mi porterà...

Testo del 28 dicembre:

Ieri vi parlavo dei quadri diario, il nuovo progetto che svilupperò nel corso del 2016, o almeno fino a quando lo reputerò "consumato". In questi giorni sto eseguendo delle prove, che inserirò in questa pagina del blog, aggiornandola. E così oggi vi presento 12/28/15, il dipinto che rappresenta la mia pagina di vita dell'ultima settimana. Sempre acrilico su tela, sempre dim. cm 120x100. Sotto questa immagine trovate invece quanto scritto ieri e il primo dipinto che ha segnato la svolta. A presto :-).

Testo del 29 dicembre:

Ed ecco l'ultimo quadro diario di prova. In questo caso ho voluto rappresentare un giorno, l'11 ottobre del 2015, in cui è accaduto un fatto che mi ha impressionata. Bene, dal 2016 quindi si parte sul serio con questo progetto: evviva :-).

Calendario dell'avvento 2015

Il 24 dicembre è un giorno speciale in quanto fiorisce l’albero delle comete. Questa pianta appartiene alla specie dei sempreverdi a causa della sua tonalità simbolica tendente alla speranza. La raccolta è delicata e richiede qualche piccolo accorgimento, come ad esempio spegnere il cervello, respirare ad occhi chiusi per un paio di minuti, pensare a cose allegre e concentrarsi su se stessi. A questo punto è possibile avvicinarsi alla pianta, scegliere il proprio fiore (anche se in verità sarà lui a scegliere voi), coglierlo, e appoggiarlo al petto per qualche istante. Il calore del corpo farà aprire totalmente i cinque petali. A questo punto sarà necessario esprimere quella cosa che assomiglia a un desiderio ma in realtà è molto di più, perché c’è dentro parte di vita, il percorso fino a lì intrapreso, ciò che si è (davvero), ciò che si sa (davvero), la consapevolezza di ciò che manca ma soprattutto necessità, l’inevitabile necessità, condizione che permetterà di accettare (non senza qualche difficoltà) gli ostacoli che immancabilmente appariranno sul cammino. Questo ultimo passaggio permetterà l’impollinazione del fiore, condizione senza la quale l’anno venturo la pianta non potrà germogliare. Non resterà quindi che aspettare il vento dell’est (quello del cambiamento) e consegnare ad esso la stella divenuta ormai frutto. Posologia: seguire la scia fino al raggiungimento della nascita del Re, che null’altro sarà se non il vostro sogno realizzato. Ecco, questo è ciò che via auguro per il 2016: di arrivare al cospetto del vostro Re. E Buon Natale :-)!

23 dicembre: per me rappresentano la voce del cielo, suoni come gocce di pioggia lasciate cadere fino a quando un uccellino le coglie. Per questo volano, perché le note se raggiungono il terreno restano mute. Che non vuol dire non risuonino ma per s…

23 dicembre: per me rappresentano la voce del cielo, suoni come gocce di pioggia lasciate cadere fino a quando un uccellino le coglie. Per questo volano, perché le note se raggiungono il terreno restano mute. Che non vuol dire non risuonino ma per sentirle è necessario possedere ali, condizione non sempre facile da ottenere. Omaggio quindi a tutti gli uccellini che con il loro cinguettare donano alla nostra giornata una colonna sonora unica e celestiale, che troppo spesso però resta inascoltata per distrazione o frenesia.

22 dicembre: ci sono diritte, curve, o dalle più svariate forme. Gialle, bianche, o colorate. Ferme, lampeggianti o con effetti speciali. Che scendono, che avvolgono o autoportanti. Le lucine del Natale sono tra i misteri più inesplorati dell'essere…

22 dicembre: ci sono diritte, curve, o dalle più svariate forme. Gialle, bianche, o colorate. Ferme, lampeggianti o con effetti speciali. Che scendono, che avvolgono o autoportanti. Le lucine del Natale sono tra i misteri più inesplorati dell'essere umano, dove composizioni e balconi si contendono lo sguardo del passante più distratto. Per me rappresentano i bagliori dei raggi del sole attraverso un fitto bosco dunque, a guardarle, mi piace pensare si possa intravvedere il bagliore della famiglia che li ha appesi. Per questo le adoro, anche le più improponibili.

19 dicembre: ci sono stelle, costellazioni, satelliti, stelle cadenti, aeroplani di passaggio... alzando gli occhi al cielo notturno sono molti gli elementi che si possono osservare. Uno sguardo più attento può però intravvedere sul soffitto della n…

19 dicembre: ci sono stelle, costellazioni, satelliti, stelle cadenti, aeroplani di passaggio... alzando gli occhi al cielo notturno sono molti gli elementi che si possono osservare. Uno sguardo più attento può però intravvedere sul soffitto della notte anche i sogni, i ricordi, le speranze, i desideri, le domande, le richieste, e i pensieri di chi ha deciso di attaccarli su lì, come piccoli post-it. Ma c'è una stella che è visibile solo agli occhi di chi la prova ed è la stella rossa quella che, quando si realizza, a vederla sono in due.

17 dicembre: vedere la luna in cielo affascina, ma viverla in terra proietta altrove. Svegliarsi nel cuore della notte e camminare al buio della casa per osservarne i fasci di ombre di luce soffusa. Affacciarsi alla finestra e spostare gli occhi su …

17 dicembre: vedere la luna in cielo affascina, ma viverla in terra proietta altrove. Svegliarsi nel cuore della notte e camminare al buio della casa per osservarne i fasci di ombre di luce soffusa. Affacciarsi alla finestra e spostare gli occhi su quel panorama insolito, trasformato per una notte in pagine da sfogliare impressionate di bianco. E infine uscire e camminare sorretti dalla sua presenza fisica e morale, come la speranza sa accarezzare da lontano, anche le notti più buie.

 16 dicembre: le candele fanno compagnia. Accenderne una è come avere accanto un amico, un animale o un camino. Anche piccolina giù nell'angolo eppure ti senti già meno solo, accudito e protetto. Se invece l'hai nel tuo campo visivo allora dive…

 
16 dicembre: le candele fanno compagnia. Accenderne una è come avere accanto un amico, un animale o un camino. Anche piccolina giù nell'angolo eppure ti senti già meno solo, accudito e protetto. Se invece l'hai nel tuo campo visivo allora diventa un balsamo su cui continuare a posare gli occhi e il cuore, e lo fai involontariamente, perché per certe cose non è necessario dare il comando, l'anima sa ciò che deve fare. E quando ne vedi parecchie tutte unite in un rituale o gesto be', allora capisci che le candele illuminano davvero, ma non solo la stanza.

14 dicembre: sono quei luoghi ideali nati per osservare. Può capitare a volte che vedendone uno possa sorgere la domanda del perché una panchina in quel luogo, ma poi basta sedersi e tutto cambia, e si capisce: in quei casi non sei tu a contemplare …


14 dicembre: sono quei luoghi ideali nati per osservare. Può capitare a volte che vedendone uno possa sorgere la domanda del perché una panchina in quel luogo, ma poi basta sedersi e tutto cambia, e si capisce: in quei casi non sei tu a contemplare il panorama, ma quest'ultimo a contemplare te.

12 dicembre: è come quando inizi una vacanza, quando arrivi sul posto e senti corpo ed anima rilassarsi, arrendersi. Perché basta solo mettersi lì e lasciare che il tempo scorra lento, lieto. Sono le cene fra amici, in casa. Varchi la porta e s…


12 dicembre: è come quando inizi una vacanza, quando arrivi sul posto e senti corpo ed anima rilassarsi, arrendersi. Perché basta solo mettersi lì e lasciare che il tempo scorra lento, lieto. Sono le cene fra amici, in casa. Varchi la porta e sei in ferie dal mondo, che poi magari quest'ultimo lo porti in tavola perché hai bisogno di raccontarlo ma è una presenza verbale, non ce l'hai addosso. E le chiacchiere vanno e vengono, come le ore, come le risate, come le onde del mare, quando si è in vacanza

 10 dicembre: Nebbia che tutto avvolge e accarezza, che ammorbidisce i tratti, le luci, i problemi e la vita. Nebbia che sa di cuoio e ginepro, che pizzica il naso e arruffa i capelli. Nebbia che ascolta e si lascia ascoltare. Nebbia che appare non …

 

10 dicembre: Nebbia che tutto avvolge e accarezza, che ammorbidisce i tratti, le luci, i problemi e la vita. Nebbia che sa di cuoio e ginepro, che pizzica il naso e arruffa i capelli. Nebbia che ascolta e si lascia ascoltare. Nebbia che appare non per far scomparire ma per sottolineare ciò che, una volta dissolta, torna...

8 dicembre: gli incontri, quelli speciali, tutti quelli speciali, avvengono al rallentatore. Anche se uno corre. Anche se uno sta andando velocissimo in automobile. Anche se si precipita! Anzi, gli incontri di quando si precipita non solo vanno al r…


8 dicembre: gli incontri, quelli speciali, tutti quelli speciali, avvengono al rallentatore. Anche se uno corre. Anche se uno sta andando velocissimo in automobile. Anche se si precipita! Anzi, gli incontri di quando si precipita non solo vanno al rallentatore, ma sembra non terminino mai... la finestrella dell'8 dicembre si apre su quest'ultimo: su un incontro senza fine...

6 dicembre: sotto il vischio ci si bacia perché così fece la dea Frigg, quando il figlio tornò in vista grazie alle sue lacrime versate che si trasformarono poi nelle bacche bianche. Baciarsi sotto questa pianta porta fortuna e protezione, dunque no…


6 dicembre: sotto il vischio ci si bacia perché così fece la dea Frigg, quando il figlio tornò in vista grazie alle sue lacrime versate che si trasformarono poi nelle bacche bianche. Baciarsi sotto questa pianta porta fortuna e protezione, dunque non è esclusiva solo di coppie innamorate ma dovrebbero farlo tutti. Inoltre per gli antichi celti questa era una pianta sacra, perché credevano nascesse dal cielo, nei luoghi colpiti dai fulmini. Dunque: baciate come se non esistesse un domani.

4 dicembre: c'è il troppo vicino e il troppo lontano... difficile è arrivare a quell'attimo che fa anche un po' male ma quella sì, che è la distanza giusta... e le mani le lasci lì, in attesa si scaldino... senza fretta...


4 dicembre: c'è il troppo vicino e il troppo lontano... difficile è arrivare a quell'attimo che fa anche un po' male ma quella sì, che è la distanza giusta... e le mani le lasci lì, in attesa si scaldino... senza fretta...

2 dicembre: passare il dito sugli anelli di un albero, e sentire le stagioni. 


2 dicembre: passare il dito sugli anelli di un albero, e sentire le stagioni. 

21 dicembre: sul calendario avviene oggi, in verità sarà domani alle 4:48. Il solstizio d'inverno celebra la rinascita del sole, l'allungamento delle giornate, il ritorno alla vita. Omaggio quindi a tutte le albe del mondo, di ogni giorno, che offro…

21 dicembre: sul calendario avviene oggi, in verità sarà domani alle 4:48. Il solstizio d'inverno celebra la rinascita del sole, l'allungamento delle giornate, il ritorno alla vita. Omaggio quindi a tutte le albe del mondo, di ogni giorno, che offrono l'opportunità di aggiungere un'ulteriore pagina al proprio calendario personale. Dicono di vivere ogni giorno come fosse l'ultimo, io preferisco invece cercare di vivere ogni giorno come fosse il primo di una grande avventura: la mia, la tua, la nostra.

20 dicembre: dicono sia simbolo di eternità, immortalità, degli inizi, dei principi, di abbondanza e fertilità, di resistenza, di sopravvivenza, protegge le case, rappresenta le divinità della terra, dei monti e degli alberi che permettono la vita e…

20 dicembre: dicono sia simbolo di eternità, immortalità, degli inizi, dei principi, di abbondanza e fertilità, di resistenza, di sopravvivenza, protegge le case, rappresenta le divinità della terra, dei monti e degli alberi che permettono la vita e dell'anima. Insomma, la pigna porta con sé molti significati, tanti quanti sono i "petali" che la compongono. Quello che però ho voluto rappresentare è il senso filosofico del frutto: la fertilità delle idee, e così sia...

18 dicembre: salendo da Riva San Vitale verso il Rocul ce n'è uno che se ne sta lì da anni, con le braccia incrociate e il suo sguardo sempreverde come un guardiano del bosco. E forse lo è. Dicono siano simbolo di eternità, scacci gli spiriti malign…

18 dicembre: salendo da Riva San Vitale verso il Rocul ce n'è uno che se ne sta lì da anni, con le braccia incrociate e il suo sguardo sempreverde come un guardiano del bosco. E forse lo è. Dicono siano simbolo di eternità, scacci gli spiriti maligni e, a metterselo fra i capelli, porti fortuna (...). Non so, io so solo che è meraviglioso e che di sicuro qualche cosa di maligno scaccia, appena lo si guarda.

15 dicembre: ci sono colorate, trasparenti o bianche. Che luccicano, opache o super riflettenti. Quelle vecchie che arrivano da un passato lontano danno istruzioni a quelle appena acquistate, magari in saldo: "dovete stare qui, serene, liete, penzol…


15 dicembre: ci sono colorate, trasparenti o bianche. Che luccicano, opache o super riflettenti. Quelle vecchie che arrivano da un passato lontano danno istruzioni a quelle appena acquistate, magari in saldo: "dovete stare qui, serene, liete, penzoloni: ma un penzolare giusto, che sia incisivo, vigoroso, efficace". Le novelle impiegheranno un po' di tempo prima di capire come fare ma d'altronde così la vita, per tutti.

13 dicembre: non è il suono di una campana a festa, lo scandire del tempo o il richiamo a un momento. No. Questo è quel suono improvviso che a volte capita di sentire in mezzo al nulla. Un "dlin" che senti discreto in lontananza eppure così vicino a…


13 dicembre: non è il suono di una campana a festa, lo scandire del tempo o il richiamo a un momento. No. Questo è quel suono improvviso che a volte capita di sentire in mezzo al nulla. Un "dlin" che senti discreto in lontananza eppure così vicino all'anima, come provenisse da una campana d'argento. Ti guardi attorno e non capisci, ma non c'è nulla da capire, poi per un attimo ti domandi pure da dove venga, ma sai che può venire da un posto solo, e allora sorridi e ti porti quel "dlin" nel cuore, perché è lì che deve stare.

11 dicembre: è quando se lì su una collina e stai per gettarti a capofitto nella discesa a bordo di una slitta. È quell'emozione da sì sì sì ma poi devi sforzarti di tenere i piedi su per non frenare. È quel ma sì dai buttiamoci cosa vuoi che p…


11 dicembre: è quando se lì su una collina e stai per gettarti a capofitto nella discesa a bordo di una slitta. È quell'emozione da sì sì sì ma poi devi sforzarti di tenere i piedi su per non frenare. È quel ma sì dai buttiamoci cosa vuoi che possa accadere, è che qualche cosa accade sempre, soprattutto se a bordo di quella slitta ci sono due soffioni. L'11 dicembre si apre su questo: l'emozione del cambiamento.

9 dicembre: quando la voce diventa strumento il cuore si consola. Sarà la vibrazione, il tono, l'aria che diventa cassa di risonanza o l'attorno che diventa pieno, non so. So solo che quando sento cantare un coro di montagna la commozione sale e i p…


9 dicembre: quando la voce diventa strumento il cuore si consola. Sarà la vibrazione, il tono, l'aria che diventa cassa di risonanza o l'attorno che diventa pieno, non so. So solo che quando sento cantare un coro di montagna la commozione sale e i pensieri scendono, se poi intonano "Signore delle cime" allora ciao... Ecco, il 9 dicembre si apre su questo: sulla magia di un coro

7 dicembre: Lo sai eppure ti avvicini, e la tocchi. E quando l'hai fatto subito te ne penti perché è appiccicaticcia, ma è buona, e la annusi, e cerchi di toglierla, poi la riannusi, e ne vorresti fare un pallino da portare a casa ma resta anco…


7 dicembre: Lo sai eppure ti avvicini, e la tocchi. E quando l'hai fatto subito te ne penti perché è appiccicaticcia, ma è buona, e la annusi, e cerchi di toglierla, poi la riannusi, e ne vorresti fare un pallino da portare a casa ma resta ancora lì, fra le dita, a dare fastidio soprattutto ora che devi rimettere i guanti. Però è così buona, e annusi annusi annusi finché arrivi a casa, che tanto il freddo non l'hai sentito. Ora potresti lavarti le mani ma aspetti ancora un po'... perché è così buona... quel profumo...

5 dicembre: sai di quelli che io abbraccio te che abbracci lui che abbracci loro eccetera? Oppure quelli di massa, che tutti assieme si decide di abbracciarne uno o ancora di quelli che ci si deve abbracciare perché avercela fatta è merito del grupp…


5 dicembre: sai di quelli che io abbraccio te che abbracci lui che abbracci loro eccetera? Oppure quelli di massa, che tutti assieme si decide di abbracciarne uno o ancora di quelli che ci si deve abbracciare perché avercela fatta è merito del gruppo o stare assieme è così bello o vi voglio tutti qui, tra le mie braccia. Poi ci sono quelli contagiosi che lo fai perché vedi un abbraccio e vien voglia anche a te di unirti al gruppo, o quelli risparmiatempo che vi abbraccio tutti assieme perché siete tanti e facciamone uno solo ma graaaaande. Poi infine ci sono quelli visivi, che anche se non toccano toccano, eccome se toccano, sono quegli abbracci che uno lancia con lo sguardo e caspita, quelli sì che hanno il fiocco. Insomma: godetevelo

3 dicembre: Oggi più che una finestrella è una madeleine proustiana, di quelle cose che quando senti ti proiettano ovunque, da quella volta in Riviera Romagnola che ne hai seguito l'odore all'alba, a quando a Riva San Vitale ancora veniva sforn…


3 dicembre: Oggi più che una finestrella è una madeleine proustiana, di quelle cose che quando senti ti proiettano ovunque, da quella volta in Riviera Romagnola che ne hai seguito l'odore all'alba, a quando a Riva San Vitale ancora veniva sfornato in centro paese, a quella volta in casa che hai provato a fare la treccia... insomma... l'odore di pane dona ubiquità

1 dicembre: essere presenti l'istante esatto in cui inizia a nevicare.


1 dicembre: essere presenti l'istante esatto in cui inizia a nevicare.

Un abbraccio galattico per #faigirarelacultura

Abbraccio galattico.L’abbraccio è un gesto. Punto. Andare oltre nella spiegazione significherebbe ridurne il valore oppure iniziare a scrivere oggi e finire il giorno in cui si esala l’ultimo respiro, e non basterebbe comunque. Poi dai ammettiamolo, non ci sono proprio gli attrezzi idonei per parlarne; intendo le parole stesse. Mancano. Non esistono. Si dovrebbe inventarle. È che a crearne di nuove servirebbe un’altra vita intera per esporne il concetto, da inserire in seguito nell’enciclopedia dell’abbraccio che wikipedia in confronto sarebbe un nulla. Ma poi, voi lo sapreste spiegare un abbraccio? Ma quale? Ne esistono più di mille miliardi di tipi differenti!

C’è quello da che bello rivederti vieni qui che recupero le informazioni via bluetooth heart to heart, quello da adesso ti entro dentro e mi ci piazzo lì come se tu fossi un sacco a pelo, poi quello dell’adesso il sacco a pelo lo faccio io e mi ti ci chiudo attorno con la zip, quello da stammi lontano ma per educazione non posso dunque ti abbraccio ma poco pochissimo. Poi c’è quello dell’abitudine, dell’oddio oddio che ansia, quello del non ti preoccupare che il mio è un abbraccio che dona poteri da supereroi, quello mai dato, quello che non si riesce a dare e quello che vorresti ma non puoi chiedere. Poi ci sono quelli che ti danno energia e quelli che te ne tolgono, quelli che depurano e quelli che inquinano, quelli che ringiovaniscono e quelli che ti sembra di invecchiare vent’anni. Alcuni inoltre profumano di pino, altri di nebbia, di sole o di fatica; una volta ne ho sentito addirittura uno che sapeva di mela, polvere da sparo e film al rallentatore: una miscela che non vi dico!

Visto? Più vado avanti più capisco quanti ne tralascerò; l’abbraccio mi si sta moltiplicando in mano come le scope dell’apprendista stregone: ne cito uno e ne vengono fuori mille. Eppure uno che spicca su tutti c’è. Ero in una di quelle giornate di super gioia fino a quando un irrisolto ha deciso di staccarsi improvvisamente dalle tubature e salire in superficie generando un crollo. Ma non di quei crolli da lacrimuccia e basta, no, roba da singhiozzi che sconquassano e mamma mia quanto fa male a volte disincrostarsi da pezzi di vita. E va be’: prendo il cane, mi vesto da pioggia, cappellone a falde larghe e via, che tanto non vede nessuno. Tre ore in giro sotto una pioggia incessante complice e discreta, fino a quando ho incrociato lo sguardo di una Signora che tornava dalla spesa. Quattro secondi, non di più, ma in quei quattro secondi mi è arrivato uno degli abbracci più potenti che abbia mai ricevuto. E non era una cosa da dai che poi passa, ma si che ce la fai, ti capisco, o poverina chissà cos’ha, non preoccuparti o se hai bisogno io ci sono, no, era il big bang degli abbracci, uno scoppio di luce da cui poi è stato generato l’universo intero degli abbracci con tutti i suoi relativi pianeti, stelle, forme di vita eccetera, e una cosa immediata poi, mica come quello là che ci ha messo sette giorni e alla fine era pure stanco e ha dovuto prendersi un giorno di riposo. Pensate che dopo tutta quella creazione ha persino cessato di piovere, sono apparse le primule anche se era settembre e un coro di lucciole mi ha accompagnata a casa: insomma, cose che nel mondo degli abbracci accadono tutti i giorni, peccato solo che a volte sia un pianeta così lontano…

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Novembre 2015 sui social network

Una carrellata della mia attività mensile sui social network, senza commenti e in ordine sparso. Ci sarebbero anche i video, ma per quelli devo ancora capire come fare ad aggiungerli ;-).


Sfrutta il Calendario dell'avvento: sorprendi i tuoi amici!

Trasformiamo il periodo del calendario dell’avvento in un’opportunità! Inviate ogni giorno per 24 giorni un messaggio o una cartolina a chi volete tra i vostri amici e parenti. L'importante è che siano sempre le stesse persone, in modo che dopo un paio di giorni comincino ad aspettare il vostro intervento. Ma come fare? Ecco qualche semplice consiglio:

  1. Niente forbicine o pennelli: il calendario dell’avvento di cui vi parlerò girerà attorno un unico fattore: LA SORPRESA. Chi non vorrebbe ricevere qualche cosa di diverso e inaspettato ogni giorno? Basatevi su questo, il resto (capacità artistiche e risultati estetici inclusi) non contano. Magari il primo giorno potreste aiutarvi scrivendo cosa sta accadendo, come ad esempio "1 dicembre: la finestrella del tuo calendario dell'avvento si apre su..." e poi aggiungete una bella foto: in teoria dopo un paio di giorni potreste anche farne a meno.
     
  2. Sfruttate i mezzi tecnologici a disposizione per far arrivare la vostra finestrella a destinazione inviando ciò che avete pensato via sms, WhatsApp, Messenger, e-mail o attraverso i social network, ma non escludete la possibilità di appoggiarvi all’invio postale tradizionale metodo che, in questo caso, aggiungerebbe un’aura vintage e romantica al tutto, molto in linea con il periodo natalizio (che bello sarebbe ricevere 24 cartoline, una al giorno, non trovate?). Se invece avete il destinatario delle vostre creazioni vicino potreste utilizzare la modalità “luogo”, lasciando fisicamente da qualche parte il vostro messaggio (sul cuscino, lo specchio del bagno, nelle tasche della giacca, nella buca delle lettere. Potrebbe essere anche solo una parola scritta su un post-it, ma per 24 giorni, non dimenticate ;-)).
     
  3. Espandete il verbo: osate! Perché destinare le vostre creazioni a una persona sola? Certo, se si tratta di un vostro desiderio nulla in contrario, soprattutto se deciderete di usare questi 24 giorni per effettuare una dichiarazione d’amore, ma non fermatevi al singolo: amici, parenti e colleghi potrebbero godere di un momento esclusivo inserito nel quotidiano, se poi decidete di affidarvi all'invio tramite smartphone potreste anche creare un gruppo, a cui mandare tutte le mattine il vostro pensiero. Ma non è finita: potreste anche aprire l’elenco telefonico a caso e inviate ogni giorno una cartolina alla stessa persona, per 24 giorni, e se in più sapete trattarsi di persona sola, il gesto varrà doppio ;-).
     
  4. Ma veniamo alla pratica: che fare? Quello che volete, l’importante è che sia diverso da ciò che siete abituati ad inviare (per sms, WhatsApp, ..); questo per evitare che i vostri messaggi si perdano "nella folla". Magari i primi giorni aggiungete la scritta che si tratta del calendario dell'avvento, così anche per chi riceverà le vostre attenzioni sarà più semplice capire. Usate quini un denominatore comune che leghi le 24 finestrelle, che sia in grado di caratterizzarle e renderle riconoscibili. 

    - potrebbe essere ad esempio un colore: un giorno scattate fotografie solo con soggetti rossi, un'altro usate scritte solo blu, un altro abbondate con il verde. Che siano foto, disegni o scritte non è importante; giocate sui colori,  non sulla tecnica. 

    - Usate sempre lo stesso oggetto in location diverse: potrebbe essere una decorazione natalizia o il simbolo di un momento importante per voi fotografato ogni giorno in ambiti differenti. Ad esempio potreste fare una fotografia a una stellina appoggiata vicino alla tazza del caffè, il giorno dopo in treno, il giorno dopo ancora assieme ai biscotti, eccetera...

    - Scrivete una lettera, un paragrafo o una frase e dividetela in 24 pezzi e inviatene uno al giorno. In questo caso non affidatevi a opere già compiute: basterebbe una semplice ricerca in Google per rovinarvi l’effetto sorpresa per il tempo restante.

    Divertitevi, divertitevi e divertitevi ancora, e ricordate che qui non contano bravura manuale o l’espressione del proprio talento artistico, qui l'importante è aprire il cuore alle emozioni che fare una sorpresa a qualcuno vi smuoverà dentro; con queste premesse vedrete che il messaggio arriverà dove deve, qualsiasi sia il risultato del vostro lavoro creativo ;-).

Se poi proprio non ce la fate ad arrivare a 24 produzioni personali: sfruttatemi! Da domani posterò sul sito immagini che potranno essere salvate, scaricate e stampate. Potrete corredarle con qualsiasi vostra ulteriore aggiunta o essere prese così come sono, condivise, divulgate, inviate attraverso il web, gli smartphone, i vostri profili social, per posta o per post-it e chi più ne ha più ne metta. Comincerò a pubblicare con un giorno di anticipo proprio per darvi il tempo di elaborare la sorpresa, aggiungendo parole vostre (se volete). Se invece siete solo in cerca di qualche spunto potete dare un'occhiata veloce alla pagina principale del mio blog o al mio profilo Facebook: spesso basta poco per accendere la miccia della creatività.

Ora non avete proprio più scuse: non perdete l’occasione di essere l’evento stesso del calendario dell’avvento di qualcun altro, sarebbe un peccato non approfittarne, non trovate? ;-).

 

 

Il sibilo dell'apparire

Ci son cose che vanno scritte a mano perché solo così possono apparire. Un movimento divenuto ormai automatico ma che necessita di un comando ben superiore alla comunicazione delle coordinate in cui si trova un tasto. Che poi, movimento, io la chiamerei piuttosto un'aggregazione.

È una cosa che parte da molteplici direzioni per andare a congiungersi infine sul foglio in ciò che vedi. Perché in una C non c'è solo un movimento curvo, e una H non è composta solo da tre tratti distinti. No, quando scrivi una lettera a mano senti proprio pezzi di cose staccarsi da immagini, sogni, momenti, esperienze, odori e colori e correre tutti lì assieme nelle dita, a spostare la penna.

Se volete provate: mettetevi anche voi davanti alla finestra, magari in compagnia di un buon bicchiere di vino rosso e musica jazz. Abbassate gli occhi, intingete la punta nell'inchiostro e provate a scrivere una F: la sentite anche voi vero la corsa delle cose che vi si staccano dentro per unirsi nel tratto? Visto che avevo ragione? E guardate che quel rumore che avete sentito non era il sibilo del vento, no, era il sibilo dell'apparire.

Pausa pranzo alla finestra

Una Signora indossa scarpe, pantaloni, giacca e borsa di colore verde, in diverse tonalità. In mano porta un sacchetto bianco e marrone: se avesse potuto non l'avrebbe scelto. Un uomo aspetta il bus. Ne percepisco la presenza attraverso il riflesso delle automobili che gli passano davanti. Sigaretta in bocca e mani in tasca: prima o poi le toglierà. Un'automobilista indossa una cuffia bianca malgrado il caldo e i finestrini chiusi. eunevneiB, itunevneB, emocleW. Un mammut rivolge le zanne a un alpinista, da mesi; credo a questo punto sia innocuo, l'animale. Una gru in lontananza si riattiva: nel cantiere la pausa pranzo è finita. Una borsa piena di girasoli passa in bicicletta e si incrocia con una moto decorata a motivi floreali. Garda Pesca, Sirmione. Una donna lato passeggero guarda in su; forse mi vede, la osservo. Un graffito sul tetto di un camion: opera negata agli spettatori che risiedono dal secondo piano in giù. Un'automobile rossa, una grigia, due bianche e una blu: pacco, lettera, nulla, pacco, lettera... Foglie di ginkgo biloba ovunque, al suolo. Onde nel cielo: qualcuno vi ha gettato un sasso. Una porta all'esterno si chiude, il panino è finito e vedo un'automobile verde mela, che rarità. Mentre mi alzo dalla sedia scorgo per l'ultima volta il riflesso dell'uomo fermo in attesa del bus. Ha una felpa grigia e freddo alle mani. La linea 513 è in ritardo, ma forse per l'uomo è meglio così.

Con-fondersi ad arte

Due settimane. Mancano due settimane e ho detto "sì". Due settimane già di per sé colme, si vede non abbastanza... in fin dei conti basta prendere ciò che si prova, aggiungerci il proprio concetto, andare a recuperare i pensieri e le energie lasciati chissà dove e mandare in vacanza l'ansia per un po'... che poi solitamente l'ansia quando vede che sta arrivando quel momento lì capisce da sola e per un po' mi lascia in pace (ebbene sì, ho un'ansia che mi vuole bene ;-)). 

Due metri e zero cinque per due metri e ottanta, quasi cinque virgola settantaquattro metri quadrati di superficie da riempire. L'ho scritto in cifre perché mi fa meno impressione. Però mi esalta: 5,74 m2 di superficie da riempire... non so cosa ne verrà fuori ma poco importa, che conta qui non sarà il risultato ma quello che potrò buttarci dentro e porcamiseria: è tanta roba! Anzi... ora che ci penso quei 5,74 m2 mi sembrano addirittura pochini... basteranno?

 

 

Caramelle video, e sono su Youtube

Lo sapevo... da tempo la possibilità di fare video si era appollaiata sulla mia spalla e ogni tanto la sentivo soffiare, come quando hai le mani intirizzite del freddo e cerchi di scaldarle un po'. Poi vado via in montagna: sarà stata l'ispirazione autunnale, la voglia di provarci, la tranquillità necessaria o il bisogno di comunicare attraverso altri mezzi ed ecco apparire i primi esperimenti.

Un po' in natura, un po' nel mio atelier, un po' per caso e un po' per gioco. Un po' per dire che ci sono, un po' perché all'arrivo dell'aeroplanino ci credo ancora, un po' perché senza un video resterebbe solo la memoria ma quella è difficile da condividere, ma soprattutto perché a un certo punto mi appare un titolo in testa, e se non lo tiro fuori poi resta lì a intasarmi i pensieri, che non è cosa buona e giusta.

In pratica: mi sono iscritta a Youtube, dove potrete trovare le mie creazioni. Ed ecco, tutto lì.

Se volete seguirmi mi trovate cliccando qui.

P.S.: a breve dovrebbe andare online il mio shop, dove potrai trovare (forse) qualche idea per Natale. Quando? Iscriviti alla newsletter e sarai avvisato tempestivamente, anche perché i pezzi non saranno molti, e chi primo arriva meglio alloggia ;-)

 

 

Un mese di (molta ) (forse troppa... ;-)) attività sui social network

Le foto sono inserite senza titolo e senza un ordine cronologico... come sfogliare un album le cui pagine sono cadute al suolo, libere di ricomporsi a piacimento.

BeSign: essere segno, ma per davvero

E poi arrivi dove devi. Come oggi. Un oggi carico di avvenimenti importanti accaduti nei giorni scorsi lasciati per caso sul mio cammino dal fato come fossero mollichine di pane, anche se un caso non lo è mai, e men che meno si è trattato di mollichine di pane. Oggi: un’aula, un corso, un Maestro, un metodo d’approccio diverso e boom, mi si è spalancato un mondo. Un altro. Anzi no, il mondo è sempre lo stesso ma altri saranno i passi con cui potrò attraversarlo, all’occasione. Si è partiti da una frase scelta su ispirazione. Ho parlato di fischi ed echi: l’attesa del rimando dell’accadere, il solito insomma. Ok. Scrivo la frase. E la riscrivo. E mi lascio andare. E vado di segno. BeSign è il nome del corso: essere segno, ma per davvero (aggiungo io). Un segno che pulisci, scorri, lasci fluire, liberandoti nel procedere dal senso e dal significato delle parole. Sono giunta a una Effe. Ok. Da qui si riparte e si continua riprendendo all’infinito quel tratto che poi è diventato simbolo e poi nemmeno più quello. Dieci, cento, mille fogli; non so quanta carta abbia usato, poco importa. Studiare, affrontare, entrare nel gesto, approcciarsi ad esso ancora e ancora e ancora perché un ancora c’è sempre, fino a quando diventi quel tratto e quella stessa Effe ho cominciato a sentirla, a provarne l’emozione, ad ascoltarla, a viverla. Qualsiasi lavoro eseguito in seguito portava ora il suo nome anche se si trattava di un punto rosso… ma davvero voi che siete qui in aula con me non la sentite? A me questa Effe risuona dentro tanto da stordire! “Caspita è forte”: dunque qualche cosa è arrivato. Ma chissà fin dove sarà giunto il messaggio, se affettivamente la mia Effe sarà capace di rimandarmene un’altra come l’eco da cui sono partita o come l’eco da cui sono arrivata, fino a ieri qui, su questo oggi, che è diventato un oggi… oggi...gi.

 

Corso tenutosi il 18 ottobre 2015 da Marco Campedelli, presso lo spazio Calligraphic Design di Gabriela Carbognani.

Bianco su bianco di Finzi Pasca, per #faigirarelacultura

Foto tipress

Foto tipress

Lo so, sono di parte, ma quando guardo certe cose non posso fare a meno di dirmi “sì, ecco perché stai con me”. Sto parlando di Daniele Finzi Pasca, il noto regista, attore, scenografo, produttore (e chi più ne ha più ne metta) ticinese, o in una sola parola “Lui”. Ho appena assistito alla sua ultima fatica, e quindi sono ancora completamente assorbita dal suo mondo sirrutesco, che è una parola nuova (chi ha visto “bianco su bianco” sa cosa intendo) che vuol dire nel contempo “terra”, “dita di piedi che si sgranchiscono”, “temporale” (è un ingrediente che con Lui non manca mai), “vento dell’est”, “orsa polare”, “menta piperita” e “polvere che luccica nel sole”.

Dico Lui perché per me Daniele Finzi Pasca è una presenza attiva. È seduto lì sulla mia spalla insieme ad altri, pronto a sussurrarmi all’orecchio come Lui vedrebbe quel fatto, come lo interpreterebbe, come lo disegnerebbe o metterebbe in scena, oppure semplicemente l’effetto che farebbe a Lui. Un po’ come quelle vocine interiori che chissà perché si considerano sempre birichine, dei diavoletti pronti a farti deragliare offrendo tentazioni e false visioni.

E se invece servissero per rimetterti in carreggiata? O per scegliere effettivamente quella giusta da seguire? O magari sono lì solo per farti sentire un po’ meno solo, quando hai voglia di chiudere gli occhi e lasciare che in quel momento siano altri a guardare per te. Daniele Finzi Pasca non è comunque l’unico amico di spalla; è seduto vicino a Gianluca Grossi, Amelie Poulain, Gottlieb Duttweiler, Giacometti, Forrest Gump, Renzo Rosso, Topo Gigio, Styles e il nano Franz, più un sacco di altri animaletti strani di passaggio a cui offro riposo nel loro infinito girovagare. Forse la cultura è anche questo: offrire un luogo dentro sé dedicato ad altri punti di vista e lasciare che a volte siano loro a parlare… anche se è vero che in fin dei conti raccontano poi tutti la stessa cosa, che altro non è se non la vita.

Album evento della serata del 28 settembre 2015

Il 28 settembre 2015 sono stata chiamata a immortalare un evento a Novazzano. La serata è iniziata con un ricco aperitivo a cui è seguita la proiezione del film "Un altro mondo" di Thomas Torelli e, in ultimo, un dibattito fra pubblico e il regista presente in sala.

Prima di iniziare ho comunicato ai presenti l'intenzione di creare un album dei ricordi, ho quindi chiesto di firmare un foglio e, qualora ne avessero avuto voglia o sentita la necessità, di lasciare un messaggio in un apposito contenitore. La partecipazione è stata ampia e ne approfitto per ringraziare coloro che mi hanno prestato fiducia, sperando di ripagarli in parte attraverso il lavoro svolto. 

Per la creazione dell'album mi sono ispirata a sensazioni e impressioni avute sul momento, in seguito liberamente elaborate e trasformate, integrando quanto lasciato scritto dal pubblico.

Questo lavoro fa parte di un progetto artistico personale più ampio. Ogni album che avrò modo di realizzare sarà un'istantanea del momento vissuto rivisto in chiave creativa per liberarlo dal contesto reale. Ciò permetterà sia ai presenti di ripercorrere il ricordo che a chiunque di poter sfogliare un istante diventato eterno, libero di vagare attraverso lo spazio e il tempo, come fosse una bolla di sapone.

Ma se di bolle di sapone vogliamo parlare, creiamone allora una miriade! Sempre nell'ottica di questo concetto a chiunque ne faccia richiesta scrivendomi verrà inviata gratuitamente per mail una copia dell'album in formato pdf, la quale potrà essere sfogliata o stampata ad uso esclusivamente personale. Mentre per coloro che desiderano sfogliare fisicamente l'album sono disponibili le copie in forma cartacea, stampate in una tipografia della regione (bolle a chilometro infinito ma stampa a chilometro zero ;-)). 

Gli album sono di formato dim. 18,6 x 18,6 cm, di 24 pagine più la copertina, su carta FSC, a Fr. 20.- più spese di spedizione.

Se desideri quindi partecipare a creare idealmente una pioggia di bolle di sapone scrivimi e fammi sapere se preferisci ricevere l'Album in formato elettronico oppure acquistare un pezzo da collezione in forma cartacea, ti darò le coordinate bancarie per il pagamento oppure ti invierò la polizza di versamento assieme all'album. 

Ma non è finita: il film Un altro mondo di Thomas Torelli è anche disponibile in DVD sul sito ufficiale unaltromondo.net, oppure presso Fabiana Lazzereschi a Chiasso

Dunque a presto, a ogni volta che ti verrà voglia di soffiare su quel ricordo :-)