bellezza

Al Lej da Staz per ballare con la realtà

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Ci son giorni in cui più di altri mi piace giocare con la quotidianità, come quelli dove il calendario riporta festività legate a rituali (ne esistono forse senza?), siano essi cristiani, pagani, sociali, naturali o magici poco importa, che conta è la possibilità che si concede loro di manifestarsi attraverso la meraviglia.

E così, in un mattino di Candelora in cui si celebra il ritorno alla luce, si scaccia l’inverno al risveglio delle marmotte e per di più in data palindroma come non succedeva da più di mille anni, mi son recata al Lej da Staz munita di tentativi e presenza.

Che poi i rituali lo ammetto me li invento; prendo un po’ di suggestioni da qui, pesco là, ci aggiungo un po’ di quel senso ma non troppo, abbondo di spazi vuoti affinché ci si possa passare attraverso (e non solo con i pensieri) e alla fine niente, a stare lì così qualche cosa primo o poi arriva; arriva sempre.

Son di quei momenti che all’inizio ti dici caspita che coincidenza ma solo perché ti hanno insegnato che non poteva essere altro che quello, ma per fortuna ti basta guardare negli occhi chi ti sta conducendo e insomma, adesso quella cosa lì la chiamo danza poi fate voi, nel frattempo io continuo a ballare con la realtà.

Quando il respiro dell'inverno accarezza la superficie del lago

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Ha sicuramente a che fare con lo scorrere del tempo ma non con quello che inevitabilmente sfugge, direi piuttosto con quello che fortunatamente resta grazie al fatto d’averlo vissuto.

Osservare la chiusura del lago in inverno per me è di un fascino incredibile; credo sia un po’ come potersi prendere cura dei propri respiri, uno per uno, dandogli forma. In fin dei conti siamo tutti una presenza che si amplia nell’esperienza; superfici solide che fluttuano sul letto della vita attraverso le quali, in alcuni casi, si può persino scorgere il fondo dell’abisso.

E niente, ne manca un pezzettino giù là in fondo, verso Meierei, e poi anche per quest’anno si può dir chiuso 😍.

La Via Lattea 15: una costellazione fatta di perle da indossare

Esperienza di bellezza - Ci sono istanti talmente densi di bellezza che si possono infilare come perle ad un collier di meraviglia, prezioso costruito tramite la sua celebrazione durante la notte di sabato scorso.

Sto parlando dell’evento organizzato dal Teatro del Tempo - La Via Lattea, un percorso iniziato alle 23 e terminato alle ore 7 del giorno seguente suddiviso in otto tappe musicali, canore, parlate ma, soprattutto, intense.

Uno dei più grandi poteri insiti nella bellezza è quello di unire, perché per poterla percepire occorre in primis rendersi presenti, essere lì, ricettivi e pronti ad accogliere per cogliere. Questo stato aiuta a superare l’apparenza della realtà per entrare nella dimensione del sentire, della con-partecipazione, di quella sensazione in cui ci si sente in unione con quanto sta avvenendo. Poter attingere a questo rivelarsi dell’esistenza è ciò che può accompagnare verso la via della verità: in pratica è un dono immenso.

E nella notte divenuta immortale:
c’era la luna piena, il vento che delimitava spazi invisibili, il freddo.
Il cammino lungo il bosco, le torce fra gli alberi e alcuni fari laggiù, sull’autostrada.
Qualche chiacchiera, molti passi e nelle orecchie un susseguirsi di note miste a pensieri.
Attraversare paesi dormienti, qualche finestra illuminata, le mani in tasca.
Parole appoggiate come pietre per attraversare fiumi silenziosi nel loro scandire.
Onde. L’eco di canti nati altrove consegnati a noi viandanti.
La schiena appoggiata a colonne scolpite, sulla testa un cielo ornato d'angeli.
Salire gradini, varcare e farsi traghettare da un coro, da un loro.
La stanchezza, l’ora blu, il lago increspato dal vibrare del mattino nascente.
L’umidità sulla pelle, l’abbandono dell’anima, nel cuore ogni accadere:
l’imperitura alba è qui.

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Grazie ai fautori di tutto ciò, agli artisti presenti, al coro Goccia di voci e, naturalmente, a tutti coloro con cui ho potuto condividere questa straordinaria testimonianza ed esperienza di verità essenziale..

Ludovico Einaudi al Lej da Staz: ognuno uno

Esperienza di bellezza - Prendi un pianoforte, un violino e un violoncello, aggiungici come sfondo le montagne, appoggia il tutto su un lago, cospargi l’attorno di pinete, irrora di luce al tramonto, versaci in mezzo un sacco di persone ed ecco: la bellezza è servita.

Se poi questo impasto lo si dà in mano a chi la bellezza non solo la sa creare ma sa anche dove andare a scovarla e alimentare be’, diventa qualche cosa di assoluto. Ieri nell’ambito del Festival da Jazz si è tenuto al Lej da Staz un concerto di Ludovico Einaudi. Ha suonato due ore consecutive, il tempo necessario affinché potesse accadere ciò che è stato, e per ciò che è stato intendo la gente: le persone; noi. 

Ognuno seduto accanto al proprio mondo, assorto anch’esso nell’ascolto.
Ognuno consapevole del silenzio che ha iniziato a regnare, non solo attorno.
Ognuno gentile nella presenza, e grato nel ricevere.
Ognuno inserito in un rigo musicale ampio, come la somma dei respiri consumati.
Ognuno sospeso su un momento che stava nascendo, dalla fine del giorno.
Ognuno responsabile di tramutare ciò che stava aleggiando nell’atmosfera, in eternità.
Ognuno parte di uno spazio reale, dove gli elementi hanno invaso le distanze.
Ognuno padrone della direzione intrapresa, sospinto da un nobile vento.
Ognuno cosciente di partecipare attraverso la presenza, a un atto di estrema bellezza.
Divenendo tale. 
Bello.
Ognuno.
In ciascuno.
Uno.