Ci sono libri che giungono così, come caduti dal cielo. Dalle prime parole inizio a ringraziare e quando li termino li tengo a lungo in mano per poi portarli alla fronte, un po’ come si fa con la roccia umida quando si è accaldati; fronte su fonte. Sono libri che tornano senza essere mai passati; sono libri che in fondo sapevi che avresti rivisto anche se mai conosciuti; sono libri che ti permettono di penetrarli in quanto ogni parola diviene gradino di una scala, solitamente lunga.
Stamane mi sono svegliata con l’atmosfera addosso e ho fatto colazione così: senza rumori, solo sole misto a nebbia, Artù addormentato e caffè. Prima di uscire ho presto fra le mani quel libro alla ricerca di un passaggio preciso che avevo voglia di portare con me durante la passeggiata; un paragrafo, nulla più, ma con molti appoggi.
Qui è già bassa stagione; le facce che si incontrano stanno tornando ad essere le solite; poche. Al mattino si può assistere allo svelamento del panorama con l’arrivo del sole e la brezza è puntuale, quella capace di smuovere gli alberi a frammenti dotandoli di arti. Artù inoltre mi accompagna senza più rincorrere gli abitanti del bosco; ormai con l’età il suo divertimento sono rimasta io.
Quando però ho aperto la porta dell’atelier per incontrare tutto ciò ho trovato a terra un pettirosso, probabilmente schiantatosi su una finestra mascherata da cielo. Era ancora vivo ma non capivo bene quanto. L’ho preso tra le mani, che il suo abbandono ha permesso di tramutare in protezione. Siamo rimasti lì così, per un bel po’: lui, il mio essere nido e io. Quando ho visto che si stava riprendendo gli ho creato un riparo con un asciugamano e ve l’ho adagiato nel mezzo, in modo che il suo mondo potesse tornare a prenderlo nella forma che la Natura avrebbe deciso.
Ho poi chiamato Artù e sono partita. Giro del lago, immagini, bacche, onde, luce, pensieri, volti, legami, sole, pane e di nuovo un caffè. Tornata a casa ho visto che il pettirosso non c’era più, e dallo spazio vuoto lasciato al centro dell’asciugamano è giunto invece lo schiocco della rottura, quel colpo violento di quando la realtà incede, dove fondamentalmente non cambia nulla se non che non la stai più osservando da dietro un vetro, anche se vetro non è.
È stato come tornare senza essere mai passati.
È stato come rivederlo anche se quell’istante non l’avevo ancora conosciuto.
È stato come penetrarlo, e a lungo.
È stato come appoggiare la fronte alla fonte e, per attimo, bere.
Il testo di stamane: “Ma oggi guardavo il cancello della cascina in cui vivo, con i rametti di agrifoglio e di pino messi da poco tra le sbarre per dire “ci siamo anche noi”, e un pettirosso si è posto proprio lì - sembrava la tessera mancante di un mosaico di neve e creature -, per un attimo solo, guardandosi attorno, un attimo perfetto, poi ha ripreso il volo. Non è rimasto il vuoto, ma l’infinito variabile delle possibilità”. Da Questo immenso non sapere di Chandra Candiani.