libro

Pensiero del 12 settembre 2021

Ci sono libri che giungono così, come caduti dal cielo. Dalle prime parole inizio a ringraziare e quando li termino li tengo a lungo in mano per poi portarli alla fronte, un po’ come si fa con la roccia umida quando si è accaldati; fronte su fonte. Sono libri che tornano senza essere mai passati; sono libri che in fondo sapevi che avresti rivisto anche se mai conosciuti; sono libri che ti permettono di penetrarli in quanto ogni parola diviene gradino di una scala, solitamente lunga. 

Stamane mi sono svegliata con l’atmosfera addosso e ho fatto colazione così: senza rumori, solo sole misto a nebbia, Artù addormentato e caffè. Prima di uscire ho presto fra le mani quel libro alla ricerca di un passaggio preciso che avevo voglia di portare con me durante la passeggiata; un paragrafo, nulla più, ma con molti appoggi.

Qui è già bassa stagione; le facce che si incontrano stanno tornando ad essere le solite; poche. Al mattino si può assistere allo svelamento del panorama con l’arrivo del sole e la brezza è puntuale, quella capace di smuovere gli alberi a frammenti dotandoli di arti. Artù inoltre mi accompagna senza più rincorrere gli abitanti del bosco; ormai con l’età il suo divertimento sono rimasta io. 

Quando però ho aperto la porta dell’atelier per incontrare tutto ciò ho trovato a terra un pettirosso, probabilmente schiantatosi su una finestra mascherata da cielo. Era ancora vivo ma non capivo bene quanto. L’ho preso tra le mani, che il suo abbandono ha permesso di tramutare in protezione. Siamo rimasti lì così, per un bel po’: lui, il mio essere nido e io. Quando ho visto che si stava riprendendo gli ho creato un riparo con un asciugamano e ve l’ho adagiato nel mezzo, in modo che il suo mondo potesse tornare a prenderlo nella forma che la Natura avrebbe deciso.

Ho poi chiamato Artù e sono partita. Giro del lago, immagini, bacche, onde, luce, pensieri, volti, legami, sole, pane e di nuovo un caffè. Tornata a casa ho visto che il pettirosso non c’era più, e dallo spazio vuoto lasciato al centro dell’asciugamano è giunto invece lo schiocco della rottura, quel colpo violento di quando la realtà incede, dove fondamentalmente non cambia nulla se non che non la stai più osservando da dietro un vetro, anche se vetro non è. 

È stato come tornare senza essere mai passati.
È stato come rivederlo anche se quell’istante non l’avevo ancora conosciuto.
È stato come penetrarlo, e a lungo.
È stato come appoggiare la fronte alla fonte e, per attimo, bere.

Il testo di stamane: “Ma oggi guardavo il cancello della cascina in cui vivo, con i rametti di agrifoglio e di pino messi da poco tra le sbarre per dire “ci siamo anche noi”, e un pettirosso si è posto proprio lì - sembrava la tessera mancante di un mosaico di neve e creature -, per un attimo solo, guardandosi attorno, un attimo perfetto, poi ha ripreso il volo. Non è rimasto il vuoto, ma l’infinito variabile delle possibilità”. Da Questo immenso non sapere di Chandra Candiani.

I luoghi in cui leggere Chiodi di Agota Kristof

AgotaKristof.jpg

Non so se sia giusto leggere Chiodi di Agota Kristof dal parrucchiere, al bar e in un centro commerciale, ma stavolta è andata così: è accaduto, come cadono i suoi versi prima di ritrovarteli fisicamente accanto, sorti dall’interpretare. Già, perché le parole di Agota prendono forma attorno a te, ovunque tu sia.

Sono volumi reali che divengono luoghi prima di sciogliersi in aghi, in aghi che appuntano paesaggi su panorami immobili di cui se ne cogliere l’essenza come una folata di vento fa con un nugolo di foglie secche. E così fra molteplici chiacchiere di persone intente a raccontare altro ci si può ritrovare a sferzare stanze, accarezzare deserti, spazzare riflessi e attraversare marciapiedi, per morire infine fra corpi e addii.

Forse non esiste un luogo idoneo dove leggere Agota Kristof in quanto lo è lei stessa, quel luogo; un territorio che dell’attraversare ne sente l’incertezza e le possibilità, che dello scoprire ne morde gli odori e ne spoglia la passione, che dell’abbandonare ne possiede la sofferenza e la libertà ma che, soprattutto, del vivere trasuda quell’intensità che nulla esclude e che tutto riconosce. 

Chiodi, poesie di Agota Kristof, edizioni Casagrande, ISBN 978-88-77-13-791-3

Saleh Addonia, Lei è un altro paese

SalehAddonia.jpg

Questo non è un libro; sono parole. 

Parole. 

Appaiono una per volta, lente, affinché se ne possa cogliere l’intero significato e tracciarne il contorno. Un contorno che resta inciso nell’aria tagliando ciò su cui appare, su cui appoggia o decidiamo di appoggiarlo, che sia nuvola, se stessi, una mano, un sopracciglio o un membro. 

E a pensarci bene non sono neppure parole ma lettere, lettere pesanti e solide che piombano al suolo creando ciò che non ha intenzione di schiacciare ma di unire; una passerella di elementi in grado di avvicinare coloro che lo vorranno intraprendere, cogliere ma, soprattutto, accogliere.

Consigliatissimo!

Lei è un altro paese di Saleh Addonia, Edizioni Casagrande, numero ISBN 978-88-7713-793-7

Di Patti Smith e l'Hahnensee

Questa mattina volevo scrivere del libro appena terminato di Patti Smith, Just Kids, ma dovevo ancora portare fuori il cane. Così ho pensato di andare al concorso ippico a vedere cavalli, eleganza, potenza e sangue e tornare subito a casa, ma alla fine al concorso non ci sono mai arrivata, malgrado Horses sia stato il suo primo album. Tutto perché ho deciso di andare in su anche se decidere è già troppo, direi piuttosto che è accaduto; ho cambiato strada, mollato il cane e via, a seguire la nebbia immersa nell’odore di pioggia. 

Il ritmo era quello al limite dell’apnea, il mio modo per creare materiale da buttare nella fornace, perché quando si apre la bocca del fuoco si possono fare solo due cose: nutrire o chiudere, e così ho nutrito. Solitamente lo faccio accettando pensieri, riducendoli in frammenti pronti ad alimentare quella cosa lì che poi almeno per fortuna un po’ si attenua. Un po’; a volte. 

E mentre camminavo mi capitava di cogliere nuove immagini da smembrare e utilizzare: osservare per cogliere, nutrire per assecondare. Non occorre fare altro, è un meccanismo che va avanti da sé, se lo si ammette. E insomma, con questo volevo dire che non era Coney Island ma l’Hahnensee, non indossavo un impermeabile verde Kelly di seta gommata ma una giacca Mammut, non era New York degli anni ’70-’80 ma l’Engadina di oggi, ma il senso di quel bruciare credo di averlo compreso: occorre vivere per viverlo, camminando, soli, nell'incertezza della meta, avendo fede nel percorso... tutto lì... è l'arte.

P.S.1: che poi mi sa che alla fine la recensione un pochino l'ho fatta...

P.S.2: il video è stato girato all'Hahnensee in Engadina, il testo è Just Kids di Patti Smith, la voce la mia, il cane Artù.