pensieri

Quando dalla vita emerge quasi un disegno

Avete in mente quelle immagini molto sfaccettate, composte da una miriade di piccoli tasselli colorati che, se ti posizioni alla giusta distanza, a un certo punto appare un’immagine tridimensionale? Si chiamano stereogrammi, e ricordo ancora la prima volta che sono riuscita a farne emergere una.

Avevo 15 anni. Ero a casa, seduta sul divano in pelle nera dei miei, e tenevo in mano un’immagine un po’ rosa e un po’ azzurra. Tutti riuscivano a vederci un delfino, io no. Ho spostato avanti e indietro il foglio, incrociato e socchiuso gli occhi, ma nulla. Finché un giorno l’ho sentito arrivare. Ho percepito distintamente il momento in cui il delfino stava per apparire e, dopo un attimo, eccolo lì, in tutto il suo splendore.

Ecco, mi è appena successo nuovamente di veder emergere un disegno dallo sfondo. Stavolta però, l’immagine sfaccettata non si trovava stampata su un foglio, ma era distribuita su un arco temporale di 50 anni. Sto parlando della mia vita: di ciò che ho fatto, scelto, visto, pensato e sperimentato fin qui. E alla mia età non è poco.

È accaduto durante un corso presso l’Istituto di formazione continua a Camorino. Stavo ascoltando una persona raccontare del suo lavoro. Le parole utilizzate, gli esempi mostrati e la forma stessa del servizio descritto, si sono posizionati nella mia biografia in un modo che non saprei spiegare. Improvvisamente però, dallo sfondo caotico della mia esistenza, ha iniziato a emergere un’immagine.

È come se quel racconto avesse inserito nella mia storia delle coordinate geografiche. Non mi stavano però suggerendo un luogo, ma una distanza in cui stare e, da lì, osservare. Seduta su quella sedia in legno, in quell’aula, ho perciò rivissuto l’esperienza di vedere brulicare lo sfondo: il segnale che il tutto sta per svelare il disegno nascosto al suo interno.

Quindi, cosa ho visto? Per adesso direi qualche cosa di abbastanza vago benché concreto. È come se il disegno della mia vita avesse scelto di non apparire come un’immagine chiara e definita, ma di manifestarsi attraverso un senso. E quando dico senso, intendo sia una direzione da seguire sia una sensazione e magari, chissà, forse un giorno potrebbe persino assumere le sembianze di un significato.

Nel frattempo ho deciso di fare così: restare qui, sulle coordinate ricevute in dono. Cercherò di resistere alla tentazione di spostare avanti e indietro il foglio della mia esistenza o di forzare occhi, cuore, anima e cervello affinché qualcosa di conosciuto possa apparire. Proverò insomma a stare senza intenzione perché, se c’è una cosa che ho imparato in tutti questi anni, è che finché lo cerchi, qualsiasi forma possa avere il tuo delfino, non emergerà mai.

Articolo pubblicato sul giornale La Regione Ticino il 14 febbraio 2025.

[#artenarrativa] Ciò che resta su tela non è il mare ma un approdo

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[#artenarrativa] Quando ascolto una testimonianza la osservo mettendo in pausa l’immaginazione, creando una sorta di vuoto visivo o meglio, tenendo gli occhi bene aperti ma con il il punto di messa a fuoco (che poi non è proprio un punto ma sono milioni) posto altrove.

Lascio vagare il racconto per l’atelier, nel corpo, tra le sensazioni, fra il tempo, sulla tela, in un orizzonte senza riferimenti affinché possa infine manifestare il suo, di panorama. Poi accade un po’ come con l’alta marea quando si ritira: sulla spiaggia appaiono conchiglie, sassi, alghe e sabbie e animaletti e cose e riflessi e profumi.

Ciò che resa non è il mare ma un approdo, un’impronta del nostro camminare per il vasto oceano della vita. Ecco ciò che cerco di rappresentare nei miei lavori di #artenarrativa: la biografia dell’umanità nel suo perpetuo ondeggiare.

Dal #solstizioinverno2020 il senso della foresta

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Dall’opera #solstizioinverno2020 è spuntata una foresta. Non che abbia fisicamente disegnato alberi ma ne ho percepito fortemente il senso; un insieme capace di creare vastità, brezza, protezione, solidità, ossigeno ma, soprattutto, di crescere. Mentre lavoravo al progetto lanciato in agosto sulla quotidianità ho cominciato a intuire questo potere ma ancora non riuscivo a coglierlo; invece in questi giorni in cui sto lavorando al nuovo dipinto questa presenza ha cominciato a definirsi da sé, a spuntarmi attorno e a manifestarsi chiaramente, inglobandomi. 

Il 21 dicembre ho chiesto alle persone di raccontarmi la loro giornata tramite messaggio vocale che poi io, ascoltando, sto riportando in qualche modo su tela; un modo per immortalare la biografia dell’umanità nel suo compiersi quotidiano. Nei messaggi si parla di pianti, speranze, scazzi, addii, credo, Egitto, musiche, amori eterni, bancomat, progetti nuovi e accantonati, paure, caffè, confusione, solitudini, pappagalli, semi di mela, generosità, amici, aspettative, maglioni di lana, grissini, rumori, famiglia e molto altro, e questo solo negli undici messaggi ascoltati fino ad ora. Me ne restano ancora 34 per completare #solstizioinverno2020; un mondo intero, una foresta gigante in un giorno solo.

La foresta di cui parlo è il senso di appartenenza rivolto sia verso l’insieme degli esseri umani che verso la vita, perché quando ascolto le storie altrui ritrovo la mia e accoglierla significa piantarla, farla germogliare, permetterle di ancorarsi scendendo nella terra che è fonte di nutrimento ma anche luogo di intrecci; avete mai visto degli alberi sradicati dal vento? Le radici formano un insieme unico, non si riesce a distinguere a quale albero appartengano, e la medesima sensazione la si ritrova quando si alzano gli occhi al cielo dove una rete di rami infinita ne trattiene l’immensità. Ecco, quando dipingo sento quella cosa lì, quel noi composto da singole unicità, quella foresta creata da alberi il cui insieme diviene un ponte straordinariamente vivo e pulsante che collega terra e cielo.

Il senso di appartenenza parte dal sé per poi trascenderlo; è una forza più grande, un’entità che diviene tensione e intenzione e cura; cura di ogni elemento che la compone e da cui scaturisce un sentimento di responsabilità verso l’insieme, verso appunto la foresta. Vederla e sentire di farne parte non significa amare ogni sua manifestazione; le foreste non sono facili per nessuno da abitare, lo raccontano anche le fate e i folletti figuriamoci per noi che non sappiamo nemmeno più come si fa, ma credo che recuperare quella sensazione e trasformarla in direzione possa oggi aiutarci a dargli un nuovo significato, un senso migliore, più fertile.

Termino il mio pensiero lasciando il link in cui potete ascoltare le prime 11 testimonianze, link che verrà aggiornato quotidianamente con i racconti che troveranno man mano spazio su tela: clicca qui.

Grazie per l’ascolto dato e che saprete dare, e che foresta sia(mo).